Che Dell’Utri sia stato il mediatore tra Silvio Berlusconi e i boss mafiosi siciliani non è una novità. Lo sapevamo già da anni con la storia dell’elegante stalliere siciliano Vittorio Mangano trapiantato in Brianza. La sentenza della Cassazione che ce lo spiega oggi è solo un suggello definitivo a una realtà allucinante: ossia che il più longevo capo di governo italiano si sia servito della mafia per accrescere il suo potere e la sua influenza al fine (anche) di impiantare abusivamente le sue antenne televisive e di diffondere i supermercati Standa in Sicilia. Rimane tuttavia ridicolo che un imprenditore edile come Berlusconi, disposto a pagare decine di milioni di lire ogni mese boss mafiosi per ottenere protezione, sia bollato dai giudici come semplice vittima. Se tutti i sodali dei mafiosi della storia di questo sciagurato Paese fossero stati vittime, non ci sarebbe nessun Cuffaro in galera. Nessuno sconterebbe pene per reati di favoreggiamento di mafiosi. Sapete perché? Perché cedere ai ricatti di un gruppo di criminali pagandoli, e quindi favorendoli, significa comportarsi da consapevoli complici. Esattamente come fece Silvio Berlusconi negli anni 70-80 ma con l’aggravante che finanziandoli, i boss mafiosi, li ha certamente aiutati a mantenere, se non addirittura a migliorare la loro influenza, il loro predominio sociale e pure la possibilità di procurarsi bombe più potenti e più in fretta.

Se fu così lampante la consapevolezza di Berlusconi, tale persino da impedirgli oggi di imitare Scajola abbozzando un “non sapevo“, fa ridere leggere nella sentenza del processo Dell’Utri scritta dai giudici di Palermo, che Berlusconi fu semplice vittima di ricatti come un bimbo indifeso. La condanna di Dell’Utri a 9 anni in primo grado e a 7 anni in appello per conocorso esterno in associazione mafiosa, finita con l’annullamento in Cassazione per un quinquennio dell’attuale senatore del Pdl vissuto alle dipendenze di uno stinco di santo come Rapisarda, stride con l’assoluzione preventiva dell’utilizzatore finale Berlusconi, che anziché denunciare alle autorità quei mafiosi li finanziò.

Dunque, se i giudici di Palermo dribblano sulle responsabilità dello “sponsor” Berlusconi, significa che non c’era bisogno del lodo alnano per differenziare il trattamento dei comuni mortali dalle alte cariche (al tritolo) dello Stato. Del resto, con le motivazioni di questa sentenza, impariamo che il peso del potente Berlusconi si dimostra un’altra volta più che sufficiente per piegare la giustizia italiana a motivazioni stravaganti di certi giudici, che con faccia tosta non comune, riducono un corruttore conclamato a semplice vittima. Concludo allora che in un Paese dove dei poveri cristi vengono processati e incarcerati per furto di viveri al supermercato, ho buoni motivi per dubitare che tutti i processi a carico dell’ex presidente del Consiglio, siano stati una farsa dal finale già scritto da giudici in qualche modo timorosi come cani che abbaiano per paura di mordere. Non mi riferisco ai pm accusatori come Fabio De Pasquale, ma ai collegi giudicanti. Tutti lì, in aula a processare un intoccabile e forse speranzosi che il suo governo ideasse qualche diavoleria tale da impedire loro di continuare il cammino processuale. Questa, è chiaro, è una mia personale e opinabile constatazione. Del resto, quando leggo in una sentenza di una potente “vittima” nel generale silenzio…

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