Milano Piazza della Scala, 39esimo chilometro

Nel 2001 corsi la Milano marathon in 3h07’58”. Arrivai 874esimo. Nel 2011 con quel crono, tal Nazzareno Gritti é giunto 204esimo. Così ad occhio in dieci anni la maratona meneghina ha perso i quattro quinti della qualità  dei suoi iscritti e circa la metà  dei suoi maratoneti in classifica. Infatti, se nel 2001 i finisher della fresca giornata del 2 dicembre furono oltre 6000, quelli del sahariano 10 aprile 2011 sono stati 3.405. Un terzo dei classificati di Roma (che nel 2001 ebbe “solo” 9000 finisher), con tempi dei vincitori di scarso interesse internazionale a livello maschile (2h10’38”), e di nessun interesse nazionale a livello femminile (2h41′). Si dirà  il caldo, la crisi economica, la concorrenza di una grande maratona come quella di Parigi alla quale hanno partecipato un migliaio di italiani. Eccolo il segno indelebile che Milano, passata di mani in mani e di padrini in madrine, non é mai stata una metropoli a misura di maratona. Non lo era nel 2001 per il frastuono dei clacson e delle liti tra vigili e automobilisti nonostante l’uso e l’abuso di edizioni zero e di edizioni uno, nel dissennato tentativo di lanciare l’ennesimo evento del capoluogo lombardo. Non lo é stata nel 2011 se consideriamo la sciagurata idea di disputarla a metà  aprile, periodo ad alto rischio climatico confermato dai 30 gradi di ieri al traguardo.

A fronte del decantato “percorso più veloce” senza riscontri pratici, la maratona di Milano vanta certamente il primato di veleni nell’aria perennemente oltre i limiti e il primato di cambi di percorso. Farla partire da Rho per edulcorare il moribondo in culla “Expo 2015“, ha dato un ulteriore tocco di tristezza e vetustà  a questo evento che pare accanirsi contro se stesso. Se ci aggiungiamo pure i “duecento soccorsi dalle ambulanze disseminate lungo il percorso con flebo e visite approfondite per i più gravi” citati nel succinto articolino apparso nelle pagine milanesi del Corriere (non in veste di sostantivo di correre), abbiamo l’idea di come per l’ennesima volta Milano dimostri di non voler essere una città  fatta per la maratona. Non si insinui che io abbia il dente avvelenato nei confronti dell’unica maratona che ho corso ben cinque volte. Anzi, il mio é solo amore di eterno appassionato di maratona che, avendone a Milano vissuto nascita ed eterna agonia, rimane basito di fronte a comunicati del tipo “Mancini oro alla Milano City marathon” degni dei peggiori tempi della Milano da bere. Di cui ricorderemo il sacrificio del buon Ruggero Pertile (secondo in 2h11′) servito a dopare i commenti televisivi, a fronte di quel 2h41′ come peggior crono femminile imbattuto su suolo meneghino, e quella favorita keniana seconda classificata, primatista negativa al traguardo di piazza Castello alla bella media di 5’30” per chilometro.

Se dodici edizioni di impegno consecutivo producono una maratona in diretta televisiva di questo spessore nella metropoli traino economico dell’Italia, non ci potranno essere deejay, attori e politici da strapazzo che tengano. Tantomeno i numeri artefatti del solito Corriere, che gonfiandoli con “diecimila partenti“, bolla spudoratamente “splendida” la vittoria della solita Mancini (non me ne voglia) che quell’ingombrante 2h41′ trasforma in vittima sacrificata a esigenze di immagine sostitute dal peso dei fatti che ogni giorno sfigurano questa città .
E’ alle vittime come lei e alla Milano reale che va la mia solidarietà  per la parabola discendente che la maratona le sta facendo vivere assieme alla crisi globale. Il mito della maratona di Milano “come New York“, trasformata in modesta vetrina raccatta-voti per la Moratti che decanta il “raddoppio degli iscritti“, é un set comico su cui si sono scomodati pure attori come Aldo Giovanni e Giacomo nel tentativo di recitare una maratona ideale che Milano non ha. E’ la Milano che non si beve più nonostante il numero e la qualità  degli di staffettisti, tranne che ai ristori presi d’assalto per la calura. Bei tempi il 2001.

Lascia un commento