Il presidente del Consiglio della Repubblica parlamentare italiana non lo sceglie il popolo, lo nomina il presidente della Repubblica. Silvio Berlusconi é stato nominato presidente del consiglio dei piduisti da Giorgio Napolitano, non dal popolo. Il popolo nomina il proprio presidente soltanto nelle democrazie presidenziali, come negli Stati Uniti in cui Barack Obama é stato scelto direttamente col voto degli elettori americani.
Dunque le dichiarazioni al Giornale dell’ex fascista Maurizio Bianconi secondo cui “la Costituzione la puoi tradire non rispettandola, o fingendo di rispettarla” in riferimento al ruolo di Giorgio Napolitano nella sua veste di presidente della Repubblica che può autorizzare l’istituzione di un governo tecnico, é purtroppo una verità  che non ha a che vedere col governo tecnico. In questo contesto sono dichiarazioni gratuite, fuorvianti e fuori luogo.

Il presidente della Repubblica non sovverte nessuna volontà  popolare (o non dovrebbe), ma nella sua autonomia garantita dalla Costituzione ha facoltà  di scioglere le Camere qualora ritenesse non ci sia più una maggioranza o siano venute meno le condizioni di tenuta della medesima o per altri motivi a sua discrezione.
Il presidente della Repubblica di un Paese normale non avrebbe mai nominato un presidente del consiglio imputato di frode fiscale, appropriazione indebita e corruzione in atti giudiziari in tre processi di un tribunale italiano come nel caso di Silvio Berlusconi. Anche di fronte a un voto plebiscitario. Al contrario, nominando un presidente del consiglio imputato in tre processi, il presidente della Repubblica (stavolta sì) ha tolto sacralità  alle istituzioni e sovvertito l’equilibrio dei poteri costituzionali (il l’esecutivo e il giudiziario ne fanno parte).

In un quadro così Giorgio Napolitano diventa suo malgrado complice della potente e pericolosa cricca berlusconiana, e dunque facile bersaglio dei suoi attacchi, intimazione violenta e bieca atta a mantenere il proprio potere con l’occupazione delle istituzioni. Giorgio Napolitano che risponde “se tradisco la carta chiedano l’impeachment” presta suo malgrado il proprio fianco al meschino gioco della cricca berlusconiana armata di pallottolieri distrattivi tra i loro giornali (Feltri), tra i parlamentari (Bianconi), e i ministri fantoccio (Alfano). Costretto a recitare la sua parte contrapposto al Pdl, Giorgio Napolitano contraddice uno dei suoi tormentoni più blasonati “Basta contrapposizioni“.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano anziché fare il bisnonno coi pronipoti al parco, ha passato questi due anni a ricevere ministri e sottosegretari berluscoidi dentro il Quirinale, in pellegrinaggio per chiedergli udienza su aggiustamenti e smussamenti qua e là  di porcate legislative di ogni tipo. Relazioni troppo strette e poco istituzionali che fanno rima con il vecchio detto bergamasco “Troppa confidenza fa perdere la riverenza” e puntualmente sfociate con l’immancabile autografo di Giorgio Napolitano a tutte le porcherie cassate dalla sua dirimpettaia Consulta.

Dal Lodo Alfano fino al “decreto interpretativo” salvaliste di Berlusconi per le ultime elezioni regionali,  Giorgio Napolitano nella sua autonomia solo apparente ha legittimato il cambiamento delle regole in corsa durante la campagna elettorale. In quell’occasione Antonio Di Pietro l l’impeachment del presidente della Repubblica lo chiese davvero tirandosi addosso l’ira di Dio. In piazza Farnese bollò “mafioso” il suo silenzio sulla riforma della giustizia che prevedeva il solito taglio alle intercettazioni come strumento di indagine e prova dei reati. Critiche legittime e confermate dalle puntuali bocciature della solita dirimpettaia Consulta. “Covo di giudici di sinistra” per il piduista furibondo e disarmato del Lodo alnano, ma anche per il moribondo Umberto Bossi intenzionato a “trascinare il popolo che é con noi in caso di bocciatura” (va da sé che nessun padano sia mai sceso nemmeno dal trattore).

In questo senso la Lega della cricca recita la sua solita particina e usa Napolitano come lo usa il Pdl a seconda della circostanza. Oggi difende a pappagallo la corsa al voto e smarcandosi da Bianconi, per voce del solito Bossi, si schiera con Napolitano “sono abbastanza contento, una persona che va bene dove sta” facendo sembrare preistoria il “Basta melassa buonista!” pronunciato dopo il suo discorso di fine anno. Il Bossi del “Va’ pensiero” invece che dell’Inno di Mameli cercava udienza da Napolitano per difendere la legge-bavaglio e per “diradare le nebbie” (finte) sull’affaire Brancher “sono io il titolare del federalismo“.

In un teatrino di continua e reciproca presa per i fondelli Giorgio Napolitano paga dazio al suo ruolo di presidente non credibile. Di presidente della cricca capitanata da un eversore golpista spacciato per statista di nome Silvio Berlusconi, icona della massoneria moderna che al posto dei cappucci usa maschere e lifting sempre lucide, grazie alle saettate di un esercito di Minzoligue a servizio perpetuo su giornali e tivù.

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