Ricapitolando la storia del coronavirus. Il primo rapporto dell’Oms che ne parla risale a settembre 2019. Si legge di un virus potenzialmente pandemico nella regione dell’Hubei cinese con capoluogo Wuhan (5 milioni di abitanti). A ottobre, quando in Cina si svolgono i mondiali militari che per i narranti senza memoria avrebbero portato il virus di provenienza americana, si registrano i primi morti. Ma solo a dicembre a Wuhan si parla apertamente di coronavirus.

Intanto in novembre in Italia si registra una strana impennata di morti derivanti da polmonite interstiziale che i medici (lombardi) non sanno spiegare. Impennata che resta stabile anche in dicembre e gennaio, soprattutto fra gli anziani.

Il primo titolo di giornale che parla di coronavirus in Italia risale al 29 gennaio, due giorni prima della Brexit.

Il 31 gennaio il governo Conte decreta l’emergenza sanitaria su indicazione dell’Oms. Le regioni non raccolgono l’allarme.

Il 2 febbraio il futuro paziente Mattia corre la maratonina di Santa Margherita. Il 7 si reca all’ospedale di Codogno con i sintomi della “influenza”, ma i medici anziché fargli il tampone e spedirlo al Sacco di Milano, lo dimettono. Quella sera, in tivù da Fazio, il virologo Burioni azzarda una frase da ultime parole famose: “E’ più facile essere colpiti da un fulmine che essere contagiati“.

Il 17 febbraio Mattia si ripresenta al pronto soccorso di Codogno già grave. Finisce ricoverato in terapia intensiva. Ci rimarrà 3 settimane.

Il 21 febbraio Codogno e Vo’ Euganeo (con un paziente anziano grave) diventano zona rossa su ordine del governo. Stesso copione in quei giorni si recita ad Alzano Lombardo (Bg). Alcuni pazienti con sintomi vengono lasciati dimettere. Il craxiano sindaco di Bergamo Gori (ex direttore tv Fininvest) in coro con Confindustria rassicura: “Bergamo non si ferma“.

Sempre il 21, il segretario leghista Matteo Salvini e il governatore ligure Giovanni Toti inaugurano la campagna elettorale alla Fiera del Mare di Genova facendosi beffe dell’emergenza.

Addirittura il 25 febbraio, Il governatore lombardo Attilio Fontana , in aula al Pirellone, con Codogno blindata, parla di “poco più di un’influenza che colpisce gli anziani“.

Da quei giorni il coronavirus contagia tutti i palinsesti televisivi e i giornali. Parte la conta quotidiana dei positivi che aumentano in base ai tamponi eseguiti, e poi i morti. Che toccano il picco nei primi giorni di aprile con punte in Italia da 630 morti al dì, su un totale di oltre 20 mila positivi censiti. Alcuni focolai intorno a Bergamo e Brescia fanno schizzare la percentuale delle vittime oltre il 10% dei contagiati, non perché il virus sia cattivo. Ma perché non bastano le terapie intensive. Sono i giorni delle camionette militari cariche di cadaveri da portare ai forni crematori dell’Emilia-Romagna.

Il 28 febbraio il governatore lombardo Fontana appare con la mascherina a incolpare il governo e a chiedere fondi ai privati da destinare alla realizzazione di un centro di terapie intensive “modello Wuhan” in un padiglione della Fiera di Milano. Arrivano 21 milioni di euro in pochi giorni e altri 40 dal governo di Roma. Il dottor Zangrillo, medico personale di Berlusconi e primario al San Raffaele, non ci sta. Dice che sarà inutile perché quando il centro sarà pronto i contagi saranno in discesa. Aveva ragione perché l’ospedale in Fiera è stato usato per soli 25 pazienti.

Sempre in quei giorni la Lombardia di Fontana e Gallera (ma anche il Piemonte del governatore Cirio), invita con una Delibera gli ospizi a convogliare i positivi al Covid per “sgravare gli ospedali“. Della serie: portiamo le volpi nel pollaio. Sarà infatti strage di anziani alla Baggina per tutto aprile e in altre residenze sparse in Lombardia (Mediglia, Merate) oggetto di inchieste della magistratura. Strage anche in Piemonte (anche lì indagini in corso).

L’8 marzo c’è un’ondata di fughe dalla Lombardia verso le regioni del Sud che fanno temere un’impennata di contagi a Napoli, Bari, Calabria e Sicilia. La quarantena imposta dai governatori di quelle regioni e il lockdown decretato dal governo conterranno il problema degli infetti e dei malati nei soli focolai del Nord.

Nel tripudio di paura che le tivù infondono perché pare che il mondo giri intorno ad Alzano, Nembro e Albino, c’è un gruppo di medici che decide disobbedire a una circolare del Ministero della Salute che vieta di eseguire autopsie per non ingolfare il sistema sanitario mobilitato per il Covid. I medici scelgono 50 morti a campione e fanno l’autopsia. Ebbene, dalle autopsie emerge che la causa di morte non è la polmonite interstiziale in sé. La causa principale di morte è l’embolìa, che non colpisce solo i polmoni, ma anche altri organi.

Da quei giorni, siamo a fine marzo, mentre i giornali si concentrano sugli affari legati al vaccino, cambia il metodo di cura. I positivi al Covid vengono trattati con farmaci anti-coaugulamento. Senza embolie significa non aver più bisogno di terapie intensive. Che infatti, dopo il picco di morti della prima decade di aprile, scendono repentinamente, portando la curva delle vittime sempre più vicina al famoso 1% dei contagiati di cui si parlava a Wuhan, e rendendo l’ospedale di Milano costato 21 milioni del tutto inutile. In nessun luogo d’Italia si registra più un’emergenza di terapie intensive. Che in alcune regioni del Sud vengono impegnate per i pazienti in arrivo da Bergamo e Brescia (Nembro ha registrato 154 morti per soli 12 mila abitanti).

Intanto il coronavirus è sconfinato in Europa e in America. I giornali contano ad oggi 97 mila morti negli Usa a fronte di un milione e 700 mila positivi accertati (6%) ma a fronte di 330 milioni di abitanti, 5 volte e mezze quelli dell’Italia. Ora che siamo a maggio il focolaio è in Brasile, dove vivono 210 milioni di persone (quasi 4 volte l’Italia), ma i morti non superano il migliaio al giorno, meno della metà del periodo clou dell’Italia. In Svezia, dove non hanno fatto nessun lockdown, i morti sono 3.600 su 10 milioni di abitanti. Meno della metà in percentuale rispetto all’Italia (32 mila morti su 60 milioni). Il totale dei morti al mondo è di 342.000 (9% in italia).

Da quando il mondo si cura con gli anti-coaugulanti, i morti sono precipitati. Ieri in Italia eravamo a 57 mila positivi con soli 572 ricoverati in terapia intensiva (1%), e 164 morti (0,3%). Significa che il coronavirus sta già facendo meno vittime dell’influenza vaccinabile, e allo stato attuale – il vaccino – potrà arrivare con comodo senza paralizzare il mondo.

Ora però i danni sono fatti. Il governo si è messo nelle mani dei medici, che come sempre accade di fronte a virus sconosciuti, vagano a vista di naso. Il governo non aveva alternative perché l’articolo 32 della Costituzione antepone la garanzia della salute collettiva a ogni altra esigenza. Intanto l’economia è stata fermata. I disoccupati sono schizzati, i turisti danno di matto se vedono qualcuno senza mascherina al bar, e i produttori di mascherine brindano. Brindano le multinazionali come la Diasorin in cerca di un vaccino che già non serve più.

Siamo a fine maggio, potremmo curarci tutti senza morire, ma continuiamo a chiederci come e se indossare le mascherine a settembre a scuola, e ad additare come untore chi respira liberamente all’aria aperta senza paranoie. Il tutto per mascherare quella che ha il sapore di un’enorme cantonata medica.

Basterebbe rileggere i fatti e i numeri elencati per concludere che forse qualcosa non quadra più. Forse le scuole potrebbero riaprire, l’economia riprendere e le mascherine tenercele per il prossimo Carnevale.

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