Ho provato orrore nel vedere l’immagine dell’ambasciatore americano Christopher Stevens morto nell’incendio di Bengasi. Benché la rete ci abbia abituato a tutto, nell’osservare quel cadavere mi son detto: “Ha pagato con la vita l’ennesimo capriccio criminale del suo Paese.” Del resto come si fa a credere ai giornali? Raccontano che in Libia si erano indignati per un film prodotto in America considerato blasfemo, in cui si vede Maometto che scopa. Ma guarda un po’ che sorpresa! Uno staff di cristiani copti degli Stati Uniti che produce un film così senza pensare alle conseguenze. I giornali ci raccontano che, morto Bin Laden, Al Qaeda si è rigenerata con gruppuscoli di Salafiti che fanno capo ad Ansar. Sarebbero loro i responsabili degli attentati che ormai si vanno diffondendo alle ambasciate americane di tutto il Maghreb, fino al centr’Africa. I commentatori americani li chiamano “cani sciolti ispirati dal compianto Bin Laden“. Sono loro, i Salafiti di Asnar che siccome “controllano molti uffici, l’ospedale e alcuni comandi militari” diventano “i primi obiettivi di un attacco americano che qui è dato per inevitabile“. Da mettere a segno con “droni o coi missili lanciati dalle navi Usa che arriveranno al largo della Libia“.
Eccolo, dunque, il pretesto dell’America per impiegare un po’ di artiglieria pesante e rinvigorire la sua economia in recessione. La ripresa americana fa leva ancora sulle guerre, come fa ininterrottamente dai tempi delle stragi in Vietnam. Come si fa a non sospettare che il governo di Obama ha assecondato, e forse pure incaricato, la produzione di quel film per avere la scusa di impiegare i propri mezzi e le proprie armi in Libia? Del resto, per l’America, la guerra crea occupazione. Diretta e di indotto. Visto che agli States non è bastato intromettersi nelle beghe tra Israele e Afghanistan, in Siria e in Libano, ecco che serve un film con Maometto in amplessi che inferocisce gli islamici, per creare un precedente utile a tenere alta la tensione. Eccola la soluzione dell’America per distogliere gli occhi del mondo su Assange, l’informatico di Wikileaks rifiugiato in un’ambasciata dell’Ecuador per sfuggire alla cattura degli uomini di Obama. Eccola la strategia americana che serve di nuovo a ribadire al mondo la propria arrogante supremazia. Serviva il morto in casa per mostrare i denti. L’ambasciatore Stevens, in Libia, ha pagato con la vita un capriccio dell’America: il suo Paese.
Intanto i Salafiti, si affidano alla pagina ufficiale di Facebook per dire che «Chi ci accusa di aver partecipato all’attacco fa parte di un piano pre-determinato per danneggiare l’immagine del gruppo e per creare ostilità nei nostri riguardi». Rimane il fatto che per appiccare il fuoco a un’ambasciata, non serve l’intelligence di Al Qaeda. Basta un gruppo di ragazzotti armati di una tanica di benzina e un accendino. Chissà se saranno gli stessi che in passato sono scesi in piazza per la Primavera araba che ha sostenuto le rivolte dei vicini egiziani e ha ammazzato Gheddafi? Chiunque sia stato a dare alle fiamme l’ambasciata americana in Libia, ciò che mi fa orrore, non è solo quel povero cadavere dell’ambasciatore morto asfissiato tra le fiamme di Bengasi. Sono anche le ricostruzioni false dei giornali. Italiani compresi.
[…] Il blog di Daniele Martinelli Pubblicato: 15 settembre 2012 Autore: aggregatore Sezione: Politica e Attualità […]