Marco Travaglio non ha certo bisogno di presentazioni e di sviolinate sulla sua stoffa di cronista giudiziario. Il Fatto quotidiano, a parte qualche sparuto scoop e clamorosi buchi, rimane (e appare) il giornale meno condizionato da interessi di parte, benché tranne qualche bravo giornalista come Lillo, Fierro e Lo Bianco, sia sostanzialmente un rifugio di trombati de L’Unità. Mi rendo conto che uscire ogni giorno in edicola, tra gli impeti di libertà, il direttore di un libero “giornalaccio” si delizi di sparare in prima pagina mega intervistone che poi, per almeno un paio di settimane si trascinano su altri giornali con chilometri di critiche a tappeto. O se preferite a zerbino, com’è stata tacciata l’intervistona apparsa sul Fatto il 13 giugno scorso di Marco Travaglio a Beppe Grillo. Sia chiaro: concordo anch’io che quel colloquio era da prima pagina. Lo era perché davvero in quei giorni, all’indomani del successo elettorale del M5S alle elezioni amministrative, qualunque testata o organo di informazione avrebbe pagato oro pur di ottenere il privilegio di qualche risposta di un comico antisistema, che ha iniettato gente nuova nelle istituzioni senza alleanze coi partiti grazie a un blog. Il Fatto, questo privilegio lo ha avuto.
Trovo più preoccupante, invece, che nessuno abbia proferito parola su un’altra intervista: quella apparsa sulla prima del Fatto venerdì scorso, che questa volta Marco Travaglio ha realizzato a Giovanni Sartori. Politologo ed editorialista da prima pagina del Corriere, tra le cosiddette “voci libere” (Padellaro 7 luglio 2012) in riferimento alle “Strane telefonate tra Mancino e il Colle“. Ossia, il duro zoccolo che il Fatto batte ormai da qualche settimana per ottenere risposte dal vecchio bacucco capo di Stato Giorgio Napolitano nel merito del ruolo suo e del suo stretto entourage di fronte alle richieste telefoniche di tal Nicola Mancino, preoccupato di finire indagato (infatti lo è) in un processo che cerca i responsabili della trattativa Stato-mafia nei primi anni 90. Ciò che mi importa sottolineare, è il ruolo di Marco Travaglio in veste di intervistatore sul Fatto. Di colui che anziché ergersi a narratore dei fatti “si abbassa” a fare domande dopo che ha criticato in decine di articoli le interviste di altri cosiddetti giornalisti come Vespa, Cazzullo o Scalfari. Fermo restando che è impossibile pubblicare scoop ogni giorno, lo dovrebbero sapere i giornalisti liberi che pianificare un’intervista da mettere in prima pagina è antigiornalistico e antiinformativo. Innanzitutto perché le interviste pianificate presuppongono l’accordo dell’argomento, e dunque la prevedibilità delle domande. Poi perché è poco utile alla causa dell’informazione fare domande a chi ci dà risposte prevedibili, possibilmente allineate alle attese. Come nel caso di Sartori nei confronti di Travaglio.
Ora, assodato che quanto emerge dalle intercettazioni tra Mancino e Loris D’Ambrosio è di gravità inaudita, l’intervista che Travaglio fa a Sartori, più che uno scoop da prima pagina, ha le sembianze di una testimonianza mirata a dare sostegno a un pensiero, a una morale estrapolata sulla base di colloqui intercettati come nel caso del duo D’Ambrosio-Mancino. Le risposte sull’argomento che si aspetta Marco Travaglio, le dà Giovanni Sartori, uno che ha la nomea del politologo di fama lucido e indipendente ma che scrive sulla prima pagina del Corriere: giornale di regime dove nessuna voce libera (Sartori compreso checché lo reputi tale ‘l’ingenuo?’ Padellaro) non si è ancora permessa di scrivere una sola riga a conferma della legittimità di quanto il Fatto chiede ormai da settimane a Napolitano in materia di interferenze sull’attività di tre procure. A parte una filippica patetica sullo stato d’animo di Mancino a firma di Galli della Loggia, la linea intrapresa dal Corsera sull’argomento avrebbe indotto qualunque giornalista, soprattutto se di stoffa come Travaglio, porre una domanda a Sartori del tipo: “Perché su Mancino e Napolitano ha scritto solo Galli della Loggia e non tu che sai come stanno le cose? Hai proposto un editoriale su questo argomento? Te lo fanno scrivere o no?“.
Visto che in tempi di crisi economica, di Italia fallita, spending review, fiscal call, fiscal compact, golden rule, revenche, soft touch ed enforcement, è stato Beppe Grillo l’unico leader politico a prefigurare lo scenario economico attuale con molti post dedicati all’argomento sul suo blog, è mai possibile che un cronista attento, critico e pungente come Marco Travaglio non abbia posto al politologo Sartori (che ritiene i partiti entità insostituibili) una domanda del tipo: “Cosa intendi quando scrivi che Grillo fa antipolitica terra terra?” Oppure “Perché ritieni che Grillo propone solo assurdità e sciocchezze?” Oppure, sul governo tecnico di Monti: “Due anni fa scrivevi in prima pagina che ‘nelle nostre circostanze il governo tecnico sarebbe la formula più intelligente e dunque la meno probabile.’ Che ti sembra ora che i fatti ti danno torto?“.
Insomma, ciò che mi aspetterei da un giornalista di stoffa come Travaglio, nostalgico dei colleghi “cani da guardia” sempre intenti a scovare contraddizioni, trucchi, trabocchetti e falsità che ammorbano le cosiddette libere voci del nostro sistema, sono le cosiddette domande che servono alla causa dell’informazione. Anche quando a farle dovrebbe essere proprio quel bravo Travaglio che tutti conosciamo, e che invece a Sartori non fa perché sembra che stia in soggezione. Chesso, pare abbia di fronte Montanelli. Avrebbe mai chiesto Travaglio a un vecchio saggio come Montanelli “Perché negli anni 40 sposasti una 12enne in Etiopia? Che ci trovasti di tanto attraente?” Le domande di Travaglio a Sartori nell’intervista di venerdì scorso, rimangono morbosamente circoscritte al caso Mancino-Colle ma lo capisce pure un bimbo che le domande sono assist modellati a prevedibili risposte come quando si chiacchiera tra amici, tra simpatizzanti o tra alleati allineati. Con tutto il rispetto umano che merita Sartori con la sua esperienza di vita e per il suo ruolo pubblico, io personalmente rimango fortemente prevenuto nei confronti di chi scrive sulle prime pagine dei quotidiani italiani. La mia esperienza mi dice che nessuna delle firme delle testate di regime è libera come ci vuole far credere (l’ingenuo?) Padellaro.
E ahime, anche Giovanni Sartori il politologo non sfugge alla regola. La sua voce libera è in realtà una delle tante del coro di pappagalli di questo sistema, ma che a differenza di altri, omaggia in prima pagina il suo intervistatore “tra i giornalisti in possesso di devastante documentazione” (20 aprile 2010). Ecco perché poi il buon Travaglio rende la pariglia al suo esimio intervistato sulla prima del Fatto, ricordandoci modestamente che “Qualche anno fa Giovanni Sartori scrisse che in Italia anche la tv ‘di tutti’ è imbavagliata; il che consente a Berlusconi e alla sua squadra di mentire senza spazio di controprova” senza però dirci che Sartori scopriva l’acqua calda. Vuoi per umana soggezione, vuoi per umana amicizia, quando ci si relaziona tra colleghi giornalisti, la prima regola da rispettare è quella di non intervistarsi. Non ci si celebra tra colleghi. Si mettono in gioco credibilità e reputazione. Tra amici e complici non esistono domande degne di un’intervista che faccia notizia. Ci sono solo assist che rendono l’intervista un noioso soliloquio a due voci senza mordente. Insomma, si rischia quella roba lì che abbiamo visto sul Fatto ad opera di Marco Travaglio nei confronti di Giovanni Sartori: un colloquio senza domande nello stile improponibile e ridicolo dei Vespa, dei Cazzullo e degli Scalfari. Vabbè che il Fatto è rimasto senza Luca Telese nel suo ruolo di intervistatore di destra. Ma in quest’intervista, Sartori come diceva di sé stesso pontificando sulle “illusioni che corrono in rete” di essere “fuori gioco per raggiunti limiti d’età” siamo anche “fuori luogo per oltrepassati limiti di credibilità“. Marco avrà la stoffa del cronista giudiziario, ma non ce la mandi a bere con quelle interviste oscene in prima pagina con un titolo così esplicito “Eccesso di amicizia…” Un’intervista talmente allineata da essere passata del tutto inosservata dai critici del regime. Spero di non dover preferire Cazzullo a Travaglio. Ecco perché spero che Marco si risparmi nel chiedere. E’ meglio quando scrive da solo.
Articolo pungente, che giustamente richiama l’attenzione su alcune problematiche di FQ e Travaglio. Peró, non condivido proprio tutto..
Per principio, non vedo niente di male nell’idea di chiedere un’opinione a un “intellettuale”, anche se si sa che é d’accordo con l’intervistatore. Forse, a questo punto, chiamarla intervista non é appropriato.. meglio “colloquio”.
Sulla figura di Sartori, come di molti altri “intellettuali”\giornalisti in generale, ci si puó ovviamente discutere. Come su Travaglio. Del resto, piccole o grandi contraddizioni si possono rilevare in qualsiasi persona.. il problema é quando questa persona si eleva a campione indiscusso di coerenza. Se Sartori tiene il piede in due staffe, é giusto criticarlo per questo, e sarebbe opportuno farlo notare (come si fa in questo post)
Ottima l’osservazione sul fatto che non ci si intervista tra giornalisti. Andrei oltre: Paolo Barnard, figura perlomeno complessa, dice (mi risulta) che i giornalisti non dovrebbero nemmeno essere amici tra loro. Il giornalista é cane da guardia del potere, e il giornalista stesso incarna un potere.. i giornalisti dovrebbero essere liberi di criticarsi tra di loro, anche aspramente, e l’amicizia personale spesso (ma forse non sempre) rende questo impossibile, in particolare nel contesto italiano.
Solo un’ultima osservazione (peraltro non ho molta autoritá in campo): é vero che FQ é erede dell’Unitá di Padellaro e Colombo, ma questo non mi sembra proprio un demerito… mi sembra che Colombo e Padellaro non si siano tirati indietro dal fare un buon giornalismo nella loro operazione di recupero dell’unitá negli anni 2000, tanto che entrambi sono stati indotti alle dimissioni per pressioni politiche (dei DS, mi pare). Per caritá, giuste le critiche se fanno qualche errore, ma qualche merito sul campo pure ce l’hanno, no?