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Ecco la lista delle vittime italiane di cui ricorre l’anniversario in questa settimana:
7 gennaio 1978: Franco Bigonzetti 20 anni e Francesco Ciavatta 18, attivisti del Fronte della Gioventù corrente di estrema destra del Movimento sociale italiano, in procinto di volantinare un concerto vengono freddati da un commando di 6 persone armate di mitraglietta all’esterno della sede partitica di Acca Larentia, nel quartiere Tuscolano a Roma.
Nell’agguato rimane ferito anche Vincenzo Segneri, che scampa alla morte rifugiandosi dietro la porta blindata della sede del partito.
I tafferugli seguenti mobiliteranno le forze dell’ordine con cariche e lancio di lacrimogeni provocando un altro morto: Stefano Recchioni, 19 anni, centrato da una pallottola in piena fronte sparata da Edoardo Sivori, capitano dei carabinieri. Diversi testimoni riferiranno di aver visto Sivori tentare di sparare nel mucchio di persone ma, inceppatasi l’arma, si sarebbe fatto prestare la pistola da un collega.
Il raid rivendicato dai Nuclei Armati di Contropotere territoriale porterà  ad una svolta soltanto 10 anni dopo, nel 1988 quando si scopre che la mitraglietta Skorpion usata nella strage é la stessa usata per gli omicidi dell’economista Ezio Tarantelli, dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti e del senatore Roberto Ruffili, firmati dalle Brigate rosse.
Livia Todini, ex terrorista pentita afferma di aver assistito alla riunione in cui si pianificò l’agguato di Acca Larenzia, accusando Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Cesare Cavallari, Francesco de Martiis e Daniela Dolce, tutti ex militanti di Lotta Continua. Scrocca si suicida in cella il giorno dopo l’interrogatorio, gli altri imputati, dopo l’arresto vengono assolti in primo grado per insufficienza di prove.

8 gennaio 1993: Giuseppe Alfano, 42 anni, insegnante col vezzo del giornalismo d’inchiesta (non ancora iscritto all’ordine professionale) viene ucciso nella sua auto a pochi metri da casa a Barcellona Pozzo di Gotto (ME) da un uomo a bordo di un motorino che gli spara a bruciapelo 3 colpi di una calibro 22. Corrispondente del quotidiano catanese “La Sicilia”, Alfano nei suoi articoli denunciava la presenza di mafiosi e di traffici illeciti nella sua provincia, quella di Messina considerata “babba” (nel linguaggio di Cosa nostra significa senza presenza mafiosa), sfatando così un falso mito.
Aveva iniziato un’indagine (tuttora in corso) su un traffico internazionale di armi che passava nella sua zona e avrebbe contribuito anche alla cattura del boss Nitto Santapaola nel 1993 (da qualche tempo rifugiato in una casa a 50 metri di distanza dalla sua), oltre ad aver denunciato le truffe all’Unione Europea perpetrate da alcuni imprenditori locali massoni, tra cui Giuseppe Sindoni, presunto mandante dell’omicidio considerato tale dal collaboratore di giustizia Maurizio Avola, killer mafioso autore di 80 omicidi, fermato all’ultimo momento – secondo la sua testimonianza – da Marcello D’Agata. La truffa denunciata da Alfano consisteva nel fatto che questi imprenditori ricevevano i rimborsi economici di tonnellate di arance destinate ufficialmente al macero ma che poi venivano regolarmente vendute ai mercati.
Ha pagato con la vita i contenuti dei suoi articoli che valevano un rimborso di 5.000 lire l’uno, 2 mesi dopo la morte, Riccardo Orioles sui “Siciliani nuovi” lo definsce ironicamente un “cronista rompicoglioni” delle autorità  locali.
In carcere per questo omicidio c’é soltanto Pippo Gullotti, mentre il presunto killer, Antonio Merlino é stato assolto su rinvio della Cassazione dopo 2 condanne a 21 anni e mezzo di carcere.
La figlia Sonia, costituitasi inutilmente parte civile al processo dopo che si era sparsa la falsa voce di un delitto a sfondo pedofilo e passionale, é ancora oggi in cerca dei mandanti dell’omicidio di suo padre, a suo dire sugli scranni del parlamento.

9 gennaio 1985: Ottavio Conte, 28 anni, agente di Polizia in forza ai Nuclei Operativi di Sicurezza dell’antiterrorismo, disarmato perché fuori servizio, intento a telefonare in una cabina del lungomare romano di Torvaianica, viene avvicinato da 2 sconosciuti scesi da un’Alfetta e trascinato fuori dalla cabina dove gli esplodono addosso 6 colpi con 2 pistole calibro 7,65, uccidendolo sul colpo. Sia gli autori che i mandanti del delitto rivendicato dalle Brigate Rosse non sono mai stati individuati.

11 gennaio 1979: Stefano Cecchetti 19 anni, simpatizzante del Fronte della gioventù muore ucciso all’esterno di un bar di Bologna da alcuni colpi d’arma da fuoco sparati da un individuo passato a bordo di una macchina in corsa. Con lui, cadono sul selciato feriti i 18enni Maurizio Battaglia e Alessandro Donatore, tutti militanti di destra. La rivendicazione dell’agguato arriva da parte dei “Compagni Organizzati per il Comunismo”, rimasti impuniti.

12 gennaio 2006: balza alla cronaca Federico Aldrovandi, studente di 18 anni, trovato morto in una pozza di sangue con le manette ai polsi da alcuni volontari della Croce Rossa accorsi su chiamata di una pattuglia di poliziotti a Ferrara alle 6 del mattino. La causa accertata della sua morte é arresto respiratorio. Il cadavere presenta un viso sfigurato, sangue alla bocca, ecchimosi all’occhio destro, ferite dietro la testa, scroto schiacciato e 2 lividi da compressione sul collo. I giornali locali, a caldo, scrivono di un malore fatale per un’overdose, ma poco dopo i dettagli della versione fornita dalla questura contrastano con la relazione di servizio della squadra mobile. Dovendo ritrattare i poliziotti cominciano a definire Federico Aldrovandi “una furia”.
Le indagini partono dal medico di famiglia a cui verranno chieste notizie sul “drogato”, lo stesso si cercherà  di fare con i compagni di Federico, convocati dalla narcotici e dalla mobile e torchiati con frasi del tipo “Lo sappiamo che siete tutti drogati, diteci dove comprate la roba”.
Partono le indagini del pm assegnate proprio alla polizia che intanto si é già  mossa con una denuncia per calunnia, il procuratore capo dirà  che la morte non fu causata dalle percosse.
Mentre la perizia tossicologica smentisce la polizia, il rapporto delle volanti svela che 4 agenti dovettero ricorrere alle cure del pronto soccorso: 2 agenti usciti con una prognosi di 7 giorni, gli altri addirittura di 20. Ma nessuno di loro si sarebbe fatto ricoverare.
Spuntano anche i manganelli in questa triste storia. Uno addirittura si rompe quella mattina, probabilmente sulla schiena, sulle gambe e sul viso di Federico, segni che fanno pensare addirittura che fosse stato impugnato al rovescio.
Qualcuno dice di aver visto Federico immobilizzato a terra, col ginocchio di un agente puntato sulla schiena e un manganello sotto la gola mentre l’altra mano del tutore dell’ordine gli tirava i capelli. Il ragazzo sussultava, faceva salti di mezzo metro. A fianco a lui, una poliziotta si sarebbe vantata: “L’ho tirato giù io, ‘sto stronzo!”.
Sulle tv private il questore insiste: “L’intervento degli operatori é avvenuto al solo scopo di impedire al giovane di continuare a farsi del male”. Missione fallita. Finora con la scoperta della verità .

3 pensiero su “Anniversari delle vittime laiche (2)”
  1. Buon giorno, la seguo da poco ma sono molto felice del post di oggi perché non ha dimenticato dei ragazzi un pò “scomodi” da ricordare. Questo un punto d’onore tutti i caduti per le loro idee devono essere ricordati senza “filtri politici”.

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