E’ stata la più giovane presidente della Camera della storia repubblicana, dal 1994 al 1996, a soli 31 anni nel primo governo Berlusconi. Deve la sua fortuna alle giacche colorate di Speroni che non piacevano a Berlusconi, e a Maroni che scelse il Viminale al posto della poltrona di terza carica dello Stato. Resse alla presidenza della Camera anche nel governo Dini dopo la rottura di Berlusconi con Bossi, il fondatore della Lega secessionista che la chiamò al cellulare (un etacs dei primi anni ’90). «Ero in macchina, guidavo nei pressi di piazza Castello a Milano, – racconta lei – risposi a una chiamata: Bossi. “Guarda che vai a presiedere la Camera”. Per poco non andavo a sbattere”».
Non andò a sbattere. Andò diritta alla Camera in tailleur prima di passare all’abbigliamento borchiato in stile sado-maso, e come primo provvedimento fece spostare i quadri di Montecitorio perché raffiguranti immagini osé (una sorta di Rouhani in gonnella contro le statue nude). Da lì in poi è stata deputata per tre legislature, (l’ultima nel 2001), si è fatta espellere dal Carroccio direttamente dal suo mentore Bossi perché improvvisamente contraria alla secessione. Ha quindi fondato il movimento Italia Federale, confluito in Rinnovamento Italiano di Lamberto Dini e infine approdato nell’Udeur di Mastella di cui è stata presidente per 2 anni. Prima di diventare assessore al Lavoro al comune di Berceto (sulla Cisa), in occasione di una marcia gay del 2000 disse che “un omosessuale tranquillo non sfilerebbe“. Aveva ancora l’acconciatura da educanda, non ancora i capelli rasati in stile saffico, non era ancora amica della “tranquilla” Platinette e frequentava i circoli della Liberà di Dell’Utri.
Baby pensionata da deputato, dal 2023 percepirà il vitalizio di 6.203 euro lordi al mese, collaboratrice ai giornali (è iscritta all’Ordine dei giornalisti elenco professionisti), presidente dell’Iptv, sistema per diffondere audiovisivi attraverso Internet a banda larga, a capo di una società che farebbe export del made in Italy in Cina, ha chiuso con la politica ma solo in apparenza. La veste di assessore in cima alle montagne parmigiane le è andata stretta: nel 2013 si è fatta candidare da capolista nei Cristiano popolari di Storace alla Regione Lazio. Non ha cavato un seggio dal buco e senza vergogna di Berlusconi ha detto: “Silvio m’imbarazza, ma sto con lui“. Ha calcato tutti i talk televisivi possibili e inimmaginabili, dalla “Vita in diretta” per annunciare la fine del secondo matrimonio con Alberto Brambilla, che l’accusava di avere un’irrefrenabile “voglia di apparire”, fino al recente “Maggioranza assoluta”, talk trasmesso in seconda serata da Italia uno, definito da Aldo Grasso “programma insulso” che si regge sullo “sguardo severo e inutile” di Irene Pivetti: ecco la candidata sindaco del centrodestra a Roma sognata da Matteo Salvini. Sì, il segretario della Lega che per la Pivetti “dopo Bossi farà la fine della Dc, mille correnti e schegge impazzite. Con la differenza che almeno i democristiani qualcosa hanno fatto per il Paese. I leghisti no“.
In attesa di trepidante conferma lo possiamo dire: con sfidanti così al Campidoglio la grillina Virginia Raggi non avrà nulla da temere.