Il riscatto pagato dall’Italia alla Jihad per la liberazione di Greta e Vanessa, continua a suscitare le ire dei parenti di ex sequestrati italiani “lasciati soli nelle trattative con i banditi“. A mio avviso la liberazione delle due cooperanti è stata “coerente” con la politica di governo, in ossequio ai patti dell’Alleanza atlantica con gli Stati Uniti. L’Italia ha sempre “investito” nelle guerre in Medioriente con uomini, mezzi e armi, spesso guadagnandoci. Dalle mine anti-uomo, passando per i kalashnikov italiani venduti ai curdi, fino agli F-35 che di tanto in tanto seminano morte in Afghanistan, anche il pagamento di un riscatto rientra nei giochi di contabilità di uno Stato con le mani sporche. Soprattutto se si tratta, alla fine, di salvare la vita di due persone, al di là di questioni prettamente umanitarie. Il caso degli ex sequestrati in Italia, è invece un fatto tutto interno. L’Anonima sarda, le Brigate rosse e la P2 (caso Moro), erano (e ancora in parte oggi sono) organizzazioni nostrane. Nonostante i drammi indicibili passati dalle famiglie e dai rapiti (come il caso dell’orecchio mozzato a Giorgio Calissoni nell’83 durante il governo Craxi), è stato meglio se almeno ufficialmente i governi che si sono succeduti nei drammatici anni dei sequestri non hanno pagato riscatti alle organizzazioni criminali interne, indirizzandosi verso il congelamento dei beni dei parenti dei sequestrati. Pensiamo in che direzione sarebbe andato questo Paese se a ogni ricatto fosse stato corrisposto un riscatto.