Vien quasi da dire “bei tempi” quando il Pd faceva opposizione recitata al P2dl di Berlusconi. C’è stata una recente epoca in cui il Pd riusciva ancora a illudere i suoi elettori allocchi. Oggi pare più difficile persino per i comunisti più convinti non vedere che il Pd è un alleato fidato del Pdl. Il Pd ha tolto la maschera già da tempo. Il salvataggio odierno del cosiddetto ministro Angelino Alfano da parte della cosiddetta sinistra, che ha votato compatta contro la mozione di sfiducia presentata da M5S e Sel dopo la deportazione di Alma Shalabayeva in Kazakistan, è solo una conferma senza novità e senza sussulti, di quanto già sapevamo da anni: ossia che l’opposizione al piduismo berlsuconiano in Italia non è mai esistita.
Chissà cosa diranno Di Pietro e ciò che rimande dell’Idv, scomparsi dalla politica a forza di rincorrere Bersani, Er NicoLetta e Franceschini! Eppure, ripensando al passato, già 3 anni fa, l’outing del Pd col Pdl si palesò senza vergogna. La dimostrazione fu quando il Pd negò la mozione di sfiducia al governo Berlusconi per il Rubygate presentata proprio dall’alleato Idv. Prima di allora, Franceschini e Bersani avevano promosso una mozione (ma solo d’immagine) nei confronti dell’imputato di camorra del Pdl Nicola Cosentino (respinta), e per il ministro leghista del nulla Aldo Brancher poi condannato, dovuta a «posizione insostenibile» (Franceschini). Mozioni respinte. Bei tempi apparenti quando il Pd sfiduciava Giacomo Caliendo, “imbarazzante” uomo della P3 al punto che per dirla con le parole del piddino Enzo Bianco «Un Paese come l’Italia, in un momento di crisi, non può permettersi zone d’ombra» (29/7/2010). Mozione respinta. Senza contare un’altra mozione di sfiducia del partito di Di Pietro contro Berlusconi in veste di «ministro dello Sviluppo che prende in giro anche il capo dello Stato» dopo le dimissioni di Scajola per “inconsapevolezza immobiliare” di casa con vista sul Colosseo. Franceschini, impaurito dall’idea di poter procedere, disse soltanto che il Pd «sta ragionando» (18/9/2010). La mozione, ovviamente, non passò.
E’ passato però il tempo, e il Pd ha tolto definitivamente la maschera alleandosi col Pdl senza più nasconderlo: la mozione Idv contro il governo Berlusconi per Ruby nipote di Mubarak, per il Pd non si è potuta votare benché il Rubygate sia stato «un intollerabile miscuglio di menzogne e reati inconciliabili col ruolo di premier» (Franceschini) e «una menzogna grave e intollerabile da abuso di potere» (Zanda). Il motivo? Il PD voleva il parere di Fini (che non arrivò) ah ah. Mozione ovviamente respinta. Bersani rispedì al mittente, l’alleato Di Pietro, l’idea della mozione in quanto «accettiamo consigli ma sappiamo come fare opposizione con coerenza e combattività». Infatti, il Pd glissò su un’inesistente “mozione sul fisco“. Dopo questo episodio, il Pd, le mozioni le ha soltanto annunciate per dare lo zuccherino a quei quattro allocchi che ancora gli credono. Come nell’occasione del crollo della Domus dei gladiatori a Pompei, che secondo Bersani «ha responsabilità precise» l’allora ministro Sandro Bondi. Franceschini abbaiò “Dimettiti o faremo una mozione di sfiducia” (11/11/2010). Ma Bondi rimase ministro, e il Pd dimenticò. Pochi giorni, ed ecco l’annuncio di mozione di sfiducia a Berlusconi da parte di D’Alema “che non si presenta al Copasir per rendere conto della sua ricattabilità” nell’ambiente delle prostitute amiche di Ruby che lo chiamano direttamente sul cellulare mentre è in missione a Parigi. Bastò un Gasparri qualunque a minacciare una mozione di sfiducia allo stesso D’Alema per far sì che il Pd lasciasse morire la questione.
Nell’estate 2011 venne fuori che il ministro Tremonti pagava 4 mila euro mensili di affitto in nero a Marco Milanese. L’Idv dichiarò che “la mozione di sfiducia a Tremonti con 62 deputati è impossibile che passi senza l’appoggio di Udc e Pd“. Il Pd, infatti, quella mozione non la appoggiò, limitandosi a far dichiarare ai senatori Della Seta e Ceccanti che «compresa l’importanza del suo ruolo di Ministro del Tesoro, ricordiamo che all’estero i suoi colleghi si dimettono per molto meno...». Come a voler dire: la mozione non te la facciamo, ma diamo a vedere che ti rimproveriamo… Finita lì. Ai primi di novembre, pochi giorni prima che Monti sostituisse Berlusconi a capo del governo su nomina di Napolitano, Bersani annunciò che l’approvazione del Rendiconto «è l’occasione per dire chiaramente al Paese che non si può andare avanti così. Vogliamo creare un momento di verità». Franceschini rincarò: «Berlusconi che afferma di avere i numeri è solo un bluff». Da qui l’ennesima idea dell’ennesima finta mozione di sfiducia, che infatti non arrivò mai perché di lì a poco arrivò Monti. Da allora ad oggi, sono passati due anni e mezzo, la democrazia sospesa nell’inciucio Pdl-Pd divenuto partito unico, non sorprende più. L’Alfano odierno può ringraziare il Pd e quest’utlimo può ringraziare il Pdl. Si tengono per mano come due funamboli in attesa che la fune si spezzi. Sotto non ci sarà la rete dei 5 Stelle a salvarli. Del resto, col senno di poi, non si può dar tutti i torti a Berlusconi quando diceva che soltanto i coglioni votano a sinistra. Ecco perché sempre col senno di poi è un’idiozia sentire certi rimproveri al M5S che non ha appoggiato il PD dopo che ha fatto fuori le candidature di Rodotà e Prodi al Quirinale. Se lo appoggino i coglioni, il Pd. Civati e Renzi sono ottimi candidati alla sua guida.