Lo dico subito: il Movimento 5 stelle è per ora l’unica vera alternativa ai partiti politici. Lo è sotto tutti i punti di vista, con i suoi variegati personaggi che lo animano nelle istituzioni. Lo è anche sotto il profilo della comunicazione, che spesso assume i toni di vera e propria propaganda. I messaggi degli eletti sottoforma di tweet, sono didascalie quasi sempre d’impatto, talvolta esagerate, per non dire edulcorate. Tra i soliti trucchi truffaldini dei partiti che i grillini denunciano sui social, alternati agli annunci di progetti di legge e al destino di mozioni ed emendamenti, ne cito uno in particolare che mi ha lasciato di stucco negli ultimi giorni: quello di Mattia Calise, l’unico consigliere comunale a Milano, che in un tweet ha scritto “Dopo #mafiacapitale iniziamo a fare pulizia anche a Milano“. Il che sembra voglia dire: gli ultimi quattro arresti di funzionari del comune di Milano, sono avvenuti per merito mio e del Movimento 5 stelle esattamente com’è stato per Mafia Capitale a Roma, scoperta grazie a noi. Il che, ahime, non è vero. Certo, ora si dirà che non era intenzione di Calise intestarsi la retata; certo è che coniugare in prima persona l’inizio di una pulizia, significa rasentare l’inganno semantico. Sembra un modo per dire “ci sono” nonostante non mi si veda e non mi si senta. Per carità, Mattia Calise è stato il pioniere degli eletti nelle istituzioni. All’età di 20 anni si è trovato catapultato a Palazzo Marino senza uno staff che lo potesse seguire. Il più giovane consigliere italiano dall’aria sbarazzina, con quelle polo slavate e quella capigliatura che ricordava il Claudio Baglioni degli esordi. Un vero e proprio outsider rispetto a quegli odiosi “professionisti” della politica in giacca e cravatta e dall’aria semi-burbera.
Calise è stato il cittadino candidato sindaco di Milano dei “non elettori”, che in questi anni ci ha intrattenuto con alcuni video della sua attività politica che sembravano una riedizione di Candy Candy in versione telefilm. Per carità, il ragazzo si sarà dato da fare. Eppure a Milano il traffico è rimasto asfissiante, gli assessori non si sono ridotti gli stipendi, i manager delle società pubbliche milanesi sono sempre strapagati, il ticket sul modello londinese per tenere lontano le auto dal centro non è mai stato avviato, Expo è divenuto realtà senza imprese di ‘ndrangheta, la tanto agognata Commissione sulla criminalità organizzata non è mai nata, il Lambro non è diventato come il Tamigi, anzi, ultimamente è straripato in più occasioni assieme al Seveso, e l’obiettivo rifiuti zero modello San Francisco è rimasto nelle buone intenzioni, e forse nei sogni del nostro Mattia. Che certamente avrà controllato “tutto quello che fa Pisapia“. Salvo accorgersi degli ultimi quattro presunti furbetti per i quali è servita, ovviamente, un’indagine della magistratura milanese. Di contro, Calise è stato il più presente di tutti in aula e col radicale Marco Cappato, in veste di padre putativo del nostro giovane grillino, ha condiviso un po’ tutto: ha dichiarato reddito zero, ha rifiutato i biglietti omaggio del concerto di Vasco Rossi, ha rinunciato al pass delle corsie preferenziali (tanto gira solo in bici), ha denunciato la presenza di amianto negli uffici comunali di Via Larga, e in tempi più recenti, assieme alla consigliera regionale Carcano e al senatore Crimi, ha presentato due esposti in tribunale contro l’accordo sui derivati tra il Comune di Milano e le banche. Ha pure registrato con l’Ipad la riunione di Commissione che poi ha dovuto cancellare con tante scuse per non beccarsi una denuncia penale. Si è dovuto rimangiare la frase che a Milano “un commerciante su cinque paga il pizzo“, dopo la sonora smentita del colonnello dei Carabinieri Sergio Pascali. In tivù Calise non lo abbiamo quasi mai visto. A Palazzo Marino si sarà dato da fare e ci avrà portato pure una branda, ma ahinoi dobbiamo purtroppo constatare che il buon Mattia, dopo oltre 4 anni di attività politica nella capitale economica italiana, non si è ricavato un’immagine di autorevole oppositore. Passi che secondo lui “non ci candidiamo per vincere“. Ma ci dovrà pur essere una ragione dietro il trucco semantico di quel tweet. Vuoi vedere che con lo tsunami dei Di Battista e dei Di Maio, il buon Mattia è maturato e sente il bisogno di uscire da una pruriginosa irrilevanza? Vuoi vedere che Mattia ha capito che se vuoi cambiare una città la devi governare, e per governarla devi candidarti per vincere, e per vincere devi avere il carisma del leader? Si sa, gli anni passano e i bimbi crescono…