Matteo Orfini, già portavoce di D’Alema, responsabile comunicazione del partito che doveva riformare la Rai nel 2010 e che invece non ha fatto. Idem nel 2012, da responsabile cultura. Un servetto di partito che attaccava Berlusconi per «l’occupazione militare delle maggiori testate radiotelevisive nell’ora di massimo ascolto», un po’ come sta facendo oggi Renzi. Giovane turco dalemiano. Poi eccolo nella corrente “Rifare l’Italia” ad appoggiare Bersani e contro “le politiche renziane di vent’anni fa sul lavoro“. Uno che non ne ha mai azzeccata una. Alla vigilia delle politiche del 2013, quando il Movimento prese il 25%, disse che Grillo era in difficoltà. Memorabile il “devono passare sul mio corpo per fare un governo con Berlusconi“, salvo poi accettare a capo chino il Patto del Nazareno per salvarsi il culo sulla poltrona. Da ridere a crepapelle il monito di Orfini: “O si fa maggioranza col M5s o si vota“. Non si è fatto né uno né l’altro. Povero Orfini, per evitare di doversi cercare un lavoro ha preferito scaricare Bersani e ingoiarsi Renzi. Oltre che bersi Cuperlo. Da un’alleanza “inimmaginabile“, passando dal Patto del Nazareno perché «il dialogo col Pdl sulle riforme è in linea col mandato della direzione…», fino a benedire la rielezione di Napolitano al Quirinale cara a Berlusconi,«una soluzione ideale per il Paese». Il tutto dopo aver infinocchiato Prodi e aver inutilmente proposto premier Fabrizio Barca. Orfini è uno forte. Uno che passava le sue domeniche su Facebook «a rispondere agli insulti dei miei elettori per la scelta di Napolitano» e si spellava le mani per il “discorso perfetto” del rieletto Napolitano, che dava alla platea (Orfini compreso), dei «sordi», «Inconcludenti» e «Irresponsabili». Orgoglioso di rilasciare interviste in cui dire “Abbiamo tradito gli elettori“, è riuscito ad essere l’unico politico contestato dai metalmeccanici in piazza e uno dei pochi nel Pd ad opporsi all’esclusione dal Senato di Berlusconi per la sua condanna definitiva nel processo Mediaset. Uno determinato, Orfini. Di quelli che se Alfano deve dimettersi, manda avanti il Pd a chiederglielo. Mica lui! Ultimamente il Pd ha cercato di affidare a Orfini il ruolo di medium: scovare le tessere fantasma. Una volta segnalate, il Pd ha perso tre quarti dei tesserati (passati da 800 mila a 200 mila in un anno, che nel 2015 sono scesi a meno di 50 mila). Ha provato pure a schierarsi contro De Luca alle primarie in Campania. S’è visto a cosa è servito. Orfini s’è ridotto a dire che «I boss dei clan sono fan di Di Battista e Di Maio». De Luca ha vinto le primarie, e con una condanna sulle spalle s’è fatto eleggere governatore decadente in Campania dal suo Pd. Uno come Orfini, del resto, va capito. Gli avevano affidato il ruolo di ripulitore del partito dopo la prima ondata di arresti nel Pd per Mafia capitale. Anche qui, con la seconda ondata di arresti, s’è vista l’inutilità di Orfini. Un ultimo tentativo disperato di renderlo utile? Il Pd potrebbe proporre al giovane turco di fare la semplice turca. Al Nazareno c’è tanto spazio…