Dunque, varati (per ora a parole) i tagli degli assegni di accompagnamento per gli anziani, i fondi ai Comuni e poco nulla alla casta che si aumenterà il pranzo al Senato da 2 a 4 euro, merita un’analisi semiseria il previsto taglio delle 38 province entro i 300 mila abitanti. Se saranno eliminate davvero da 109, diventeranno 71 distribuite su un territorio disomogeneo che accentuerà le disuguaglianze anziché uniformare il Paese a una direttiva che applicata in toto comporterebbe un risparmio certo di almeno 17 miliardi di euro annui. Senza province, potremmo per esempio pagare il 12,5% in meno la polizza di assicurazione auto a loro destinate. Potremmo abolire un ente scudo per scarica barile di responsabilità di scelte politiche solitamente competenti ai comuni e alle regioni. Le province, istituite nel 1861 all’unificazione dell’Italia, erano inizialmente meno di 50 ed erano concepite col criterio che non occorresse oltre un giorno intero a cavallo per raggiungere il capoluogo. Roba che ai tempi di autoblu a trazione integrale, fa sorridere constatare l’esistenza di capoluoghi provinciali come Pescara e Chieti, Livorno e Pisa o Firenze e Prato distanti non più di 10 chilometri l’uno dall’altro.
Ma siccome in Italia le cose si fanno poco e male, ecco, dunque, gli effetti del taglio delle province che, volenti o nolenti, sottratte col solo criterio degli abitanti residenti, aumenteranno i disagi per coloro che si troveranno accorpati a capoluoghi lontani coi quali non c’é nessun legame col territorio ricaduto per effetto dello spostamento dei confini. L’esempio più lampante é la provincia di Sondrio: la più estesa della Lombardia, ma la meno popolata. Ipotizzando un toto-confini con la sua sottrazione, la Val Chiavenna passerebbe in provincia di Lecco con tutta la Valtellina occidentale, magari fino ad Albosaggia e Sondrio stessa, che dal capoluogo che ha dato i natali a Formigoni disterebbe 100 chilometri. Sempreché questa fetta di territorio non passerà alla provincia di Bergamo, ancora più lontana da raggiungere ma che estenderebbe i suoi confini dalle risorgive cremasche fino ai crinali svizzeri che sovrastano Santa Caterina Valfurva. E la Valtellina orientale? non avrebbe altra scelta che essere assorbita dalla provincia di Brescia, con Livigno e Bormio distanti quasi 4 ore di auto dal capoluogo provinciale che a Sud abbracccia comuni fino a Ostiano, tra Cremona e Mantova, zone a tutto mais e zanzare. A dispetto della provincia di Monza, che a soli 10 chilometri da Milano rimarrà l’emblema di un gioco di voti di scambio più che un ente utile al mezzo milione di abitanti del suo ridotto territorio. Nessuno stravolgimento di confini, invece, per la sottrazione della provincia Lodi, che tornerà in toto nella fu provincia di Milano.
Quanto ad Aosta e alla sua valle, senza provincia, non avrà alcun senso ipotizzarla ancora Regione a Statuto Speciale. Ecco che il destino più logico sarà il suo definitivo assorbimento con lungo e laborioso Decreto Legge al Piemonte, ed inglobata alla già estesa provincia di Novara, che col taglio previsto si vedrà “restituito” tutto il Verbano, la Val d’Ossola, assieme alla provincia di Vercelli che si dissolverà a sua volta assieme alla giovane provincia di Biella: imbocco naturale alla Valle francofona attraverso Pont Saint Martin che di novarese non ha proprio nulla esattamente come La Thuille, Chamonix o l’altissimo Monte Bianco, vetta da cui si potrà vedere l’altro capo del territorio provinciale di Novara soltanto con un buon telescopio puntato sulle “comuni” risaie appiccicate alla lombarda Lomellina. Asti assorbita per intero dalla provincia di Alessandria (visto che Torino coi suoi 315 comuni già capeggia la classifica italiana) avrebbe comunque un’estensione inferiore rispetto all’attuale provincia di Cuneo, un tempo la più grande d’Italia. Curiosa la sorte delle province liguri, che dalla Spezia fino a Imperia, secondo l’assetto degli abitanti, saranno tutte assorbite da Genova. Da Ventimiglia a Marinella di Sarzana le auto saranno targate (GE) sempreché la scajolana provincia di Imperia non si lascerà assorbire dalla seconda provincia ligure di Savona, per il modico risparmio di 40 chilometri di strada in caso ci fosse bisogno della questura, della Prefettura o dell’ente vero e proprio. (Spostare il capoluogo a Sanremo? andrebbe chiesto agli abitanti di Celle Ligure, Varazze e di Piana Crixia).
In Veneto la perdita della provincia di Belluno con i suoi 35 mila abitanti, resa popolare dal suo illustre cittadino avvocato-deputato Paniz strenuo difensore delle leggi porcata salva-premier, si tradurrebbe in solo guadagno, giacché la parte dolomitica della sua provincia con Cortina d’Ampezzo ha già da tempo espresso con referendum di voler passare in provincia altoatesina di Bolzano. Che col nuovo assetto del dopo-tagli contenderebbe a Sassari e a Cagliari il palmares di provincia più estesa d’Italia. Già , perché in Sardegna il dissolvimento della sterminata provincia di Nuoro assieme alla cancellazione di Oristano (istituita nel ’74), oltre alle recentissime Olbia Tempio, Ogliastra, Iglesias e Medio Campidano, avremmo un’isola con i due soli capoluoghi degni di essere definiti “città “. Sempreché Olbia, forte del suo aeroporto internazionale e della sua vocazione turistica, non riesca a riorganizzarsi in terza provincia sarda accollandosi una buona fetta dell’attuale territorio nuorese fino a oltrepassare la soglia dei 300 mila abitanti. Limite minimo che oltrepassa di un soffio la provincia di Pordenone (35 mila abitanti), in un Friuli dove sopravviverà anche la provincia Udine che allargherà il suo già vastissimo territorio assorbendo le minuscole province di Gorizia e di Trieste coi suoi 6 comuni. Che rimarrebbe unico capoluogo di regione italiano senza provincia.
Quanto all‘Emilia, immaginare di trasformare in pavese l’attuale porzione occidentale della provincia di Piacenza destinata al taglio, significherebbe allargare l’attuale Oltrepo’ e stringere l’estensione dell’Emilia stessa. Piacenza é lombarda per aspetto, storia e contiguità al basso lodigiano, ma se il Po continuerà a segnare il naturale confine regionale non le rimarrà che spartirsi qualche competenza provinciale con Parma, tornando alle vecchie dimensioni del famoso Ducato preunitario. Per paradosso, in Romagna si salva la giovane provincia di Rimini che conurbata a Riccione, Cattolica e l’entroterra del Sangiovese costituisce area metropolitana sufficiente per numero di abitanti a mantenersi autonoma dalla provincia di Forlì-Cesena. Situazione simile vale per la sesta provincia pugliese BAT (Bisceglie, Andria, Trani) che messe assieme totalizzano 200 mila abitanti come Brescia. Una provincia capriccio voluta da Milly Carlucci (sindaco di Margherita di Savoia FG) che si contrappone al taglio delle province di Isernia (20 mila ab. istituita nel ’70) e Campobasso (50 mila): ossia l’intero Molise staccatosi dall’Abruzzo nel ’63 sotto la cui giurisdizione, ora, dovrebbe tornare diviso tra le province di Chieti e L’Aquila. Ma qui, numeri alla mano, Campobasso può ambire a rimanere provincia con tutti i suoi 320 mila abitanti molisani (lì é eletto in consiglio Cristiano Di Pietro).
In Umbria rimarrà soltanto la provincia di Perugia sempreché col solito lungo iter del decreto legge per modificare i confini regionali, non si vorranno fondere in un unico territorio laziale le “tagliate” province di Terni (Umbria) e Rieti (35 mila abitanti). In Toscana la storica provincia di Pistoia potrebbe essere interamente assorbita dallla giovane provincia di Prato (160 mila ab.) che con soli 7 comuni (uno in più di Trieste) del suo minuscolo territorio oltrepassa autonomamente i 300 mila abitanti (per buona parte cinesi). A dispetto delle gigantesche province di Siena e Grosseto, destinate a fondersi in un’unica provincia grande metà dell’intero territorio regionale dalle propagini aretine fino ad Ansedonia.
In Campania, con la sottrazione della provincia di Benevento scomparirà il feudo della famiglia Mastella, e allora Ceppaloni diventerà con tutta probabilità provincia di Avellino. Anche l’intera Basilicata (regione creata a tavolino) rimarrà alla sola provincia di Potenza. Contenderà a Bolzano, Sassari e Cagliari il podio di provincia più estesa, sempreché parte dell’attuale territorio della provincia di Matera non sarà assorbito dalla contigua provincia di Bari. Anche lì andrebbero modificati i confini regionali con “l’allargamento” della Puglia. In Sicilia le province di Enna e Caltanissetta potranno solo fondersi in un’unica realtà se non vorranno essere assorbite rispettivamente da Catania e Agrigento. In Calabria la sottrazione delle province di Vibo Valentia e Crotone riconsegnerebbe la suddivisione provinciale storica coi soli capoluoghi a Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria. Con un totale di 38 province tagliate (dicevamo) sulla carta. Perché a conti fatti, se dessimo retta al presidente dell’Unione province italiane (Upi) Giuseppe Castiglione (Pdl), pare che “non é questa la strada per fare cassa perché i dipendenti delle province cancellate andranno ricollocati“. E allora dove sarebbe il risparmio?