Dovevano fare le riforme per diminuire le tasse a tutti gli italiani, e invece si ritrovano a dover fare i conti con le “pulci rosse”. La banda “berluscotti” tra un Belpietro, un Vizzini e un Bossoli, sono nel mirino di brigatisti di sinistra, figli di incalliti comunisti, quelli estinti che non contano più niente e che sono fuori dal parlamento. Finché le prove latitano assieme all’estremista di destra Delfo Zorzi (che ci sta a fare in Giappone se ora che é stato assolto a Brescia potrebbe tornare qui e fare il nababbo in Senato?), si tratta evidentemente di morti viventi che penetrano nella casa romana “ladrona” di Bossi per piazzare cimici grandi come l’orecchino di Vendola. Obiettivo senza altri “fini”: vedere con cosa si pulisce il culo il senatur. Ai comunisti non basta la condanna per vilipendio alla bandiera, cercano la prova del reato: cercano quel “pressing” che produce svastiche “maroni” sul tricolore quale prova di eversione viscerale. Assai più grave che non difendere i cartelli di camorra e mafia (presunti come Cosentino e veri come Dell’Utri) in parlamento. Guarda un po’ che minaccia la procura palermitana che ricorre in Cassazione contro quei miseri 7 anni di condanna in appello al cofondatore di Forza Mafia per concorso esterno in associazione mafiosa! Proprio in quel di Palermo la “mafia forza” Onesti nomen omen come l’ex poliziotto Vito, collaboratore di Mafiacontro, che in allenamento alla Favorita riceve minacce da inoltrare al senatore Vizzini già commensale alla cena in salsa P3 con Berlusconi e gli ermellini della Consulta Mazzella e Napolitano, già “salvato” secondo l’ex procuratore di Palermo Piero Grasso dalla “trattativa tra Stato e mafia“. Al senatore Vizzini in novembre giunse una missiva nella sede di Repubblica Palermo con scritto “Noi familiari dei detenuti 41 bis (…) non ne possiamo più, ed ora é venuto il momento di presentare il conto (…) non molleremo non ci pieghiamo ai ricatti per farci pentire e verseremo il sangue di questi uomini puri. Ora inizia la vendetta…“.
Dal presidente della Commissione Affari costituzionali, fino alla minaccia “comunista” dei cimicioni in casa Bossoli, ce ne sono state di bufale o mezze tali che non hanno mai portato all’identificazione o alla riesumazione di fantasmi comunisti. E’ di un annetto fa la “bonifica” al comune di Milano per una cimice rinvenuta a Palazzo Marino sotto le natiche della Moratti. Matteo Salvini confuse la Milano malata di ‘Ndrangheta col “rischio palermizzazione” mentre i giornali urlavano al “clima di grande preoccupazione in città .” Nel giorno della bocciatura del lodo alnano il piduista Cicchitto e il fascista Gasparri sbraitarono al “complotto” contro un presunto piano eversivo che sarebbe in atto per “fare fuori” Silvio Berlusconi e costringerlo alle dimissioni. Rievocarono i “fantasmi del 1994” ma anche lì, di spettri comunisti non se ne sono mai visti. Nemmeno un fantasma delle “Brigate rivoluzionarie per il Comunismo combattente” é stato identificato tra i presunti autori del volantino minaccioso recapitato al Riformista (guardacaso subito dopo l’allarme di Cicchitto e Gasparri, l’8 ottobre) su cui si leggeva “Entro le 23.59 di venerdì 16 ottobre Berlusconi, Fini e Bossi devono dimettersi e il primo deve consegnarsi alla giustizia comune.”
Senza contare quel “Qualcuno vuole farmi saltare in aria” urlato a denti stretti il 15 novembre 2009 che indusse il premier a rimanere barricato per un intero week-end a Palazzo Chigi su consiglio del “cannibale di polpacci” Maroni per minacce stavolta di “matrice islamica” ma che per il titolare del Viminale erano preoccupanti “segnali ricevuti dall’attività di un gruppo che si rifà alle Brigate rosse che ha inviato un volantino alla redazione dell’ Unità “. All’indomani del folle gesto di Tartaglia in piazza Duomo fu il Copasir rosso D’Alema a lanciare il “rischio mitomani” al premier, che fece passare in sordina l’accusa di minacce al pluricondannato senatore del Pdl Ciarrapico da parte della giornalista Manuela Petescia. Altro indagato in carne ossa (e ciccia) per minacce é stato proprio il presidente del consiglio dei piduisti, a Trani, quando fu intercettato al telefono mentre intimidiva il dimissionato uomo Agcom Innocenzi, nel merito delle puntate di Annozero e delle ospitate Rai di Di Pietro. Leader Idv bersagliato nel fine settimana primaverile del voto per le regionali da Gasparri e La Russa, che sventolando un messaggio terrorista “colpiremo nelle prossime ore” ne attribuivano la paternità ai fan del “partito giustizialista” senza che nessuno sia mai stato identificato. Senza comunisti colpevoli pure i mandanti della busta esplosiva alla Lega a Milano e il proiettile per il premier sempre in quei giorni. In giugno il recidivo Gasparri denunciò minacce e “inquietanti intimidazioni sia a mezzo posta sia in via informatica” e in ottobre di nuovo il puttaniere esordì al comizio della festa del Pdl milanese con “Eccoci qua, anche se qualcuno ha tentato di non farmi venire…” riferendosi a misteriose minacce telefoniche, “ritenute inattendibili dalla questura.“, quella che obbedì all’ordine di consegnare nelle mani della consigliera Pdl Minetti la minorenne Ruby in spregio all’ordinanza di un magistrato di assicurarla a una struttura protetta.
Tanto per far vedere che nel partito dell’amore nessuno si salva, pure il finiano Italo Bocchino ha collezionato un po’ di minacce nell’ultimo anno. Se sommiamo pure lo sconosciuto attentatore rosso che avrebbe rincorso per le scale di casa Belpietro e il suo caposcorta, si può intuire come mai nel Pdl si comincia a fare ammenda. In mancanza di attentatori rossi il puttaniere contestato a Napoli per i rifiuti ha parlato finalmente di “strategia internazionale contro l’Italia” senza ovvi riferimenti a Putin. Dimostrando che il partito dell’amore non minaccia gli amati a(ci)mici. Rimangono panni sporchi di virgole maroni tutte interne. Vendette d’amore dove le riforme utili all’Italia rimangono solo sulla carta. Igienica.