Aumentano – ma ancora non bastano – i casi di imprenditori che denunciano e fanno arrestare i politici che pretendono tangenti per gli appalti. A Foggia il leader di una società che aspirava all’appalto per l’illuminazione pubblica del valore di 53 milioni, non si è piegato alle richieste di soldi da parte del sindaco leghista Franco Landella. Prima un milione, poi 500 mila e infine 300 mila euro che in parte girava ad alcuni consiglieri comunali di maggioranza.

Se si fosse trattato di un sindaco 5 stelle sarebbe stato il finimondo su tivù e giornali. Trattandosi di un sindaco della Lega caro a Salvini, la notizia dell’arresto trova spazio a malapena tra le pubblicità a pagina 20, appena prima del calcio.

Eppure a Foggia non è stato arrestato solo Landella per corruzione. In manette sono finiti sua moglie Daniela Di Donna, i consiglieri comunali Antonio Capotosto, Dario Iacovangelo (ai domiciliari) e il presidente del Consiglio Comunale Leonardo Iaccarino. Quest’ultimo diventato un fiume in piena rivela ai giudici che «Il sindaco si avvicina verso la Hyundai, entra in macchina e con una mossa veloce, felina posiziona dietro il mio sedile di guida una busta rossa, quelle delle profumerie e mi dice: “Leo, questo è il profumo per tua moglie”. Il profumo non l’ho mai sentito perché non era un vero profumo, si trattava di 2.000 euro».

E’ ancora Iaccarino a mettere a verbale che era corrotto l’intero Consiglio comunale di Foggia. «Il sindaco ha riscosso una maxi tangente dallo stesso imprenditore e che poi ha distribuito la somma di 5.000 euro a ciascuno dei 20 consiglieri comunali che hanno votato per un totale di 100.000 euro […]. Si chiamava la “mancina”.
L’imprenditore in oggetto era Paolo Tonti, finito ai domiciliari.

Mentre si profila lo scioglimento del Comune a guida leghista per infiltrazioni mafiose, va ribadito il plauso per quell’imprenditore (di cui ancora non si sa il nome), che a Foggia ha «comunque rifiutato» le pretese di Landella pronto «a fare andare tutto a puttane», qualora non avesse pagato.

Intanto non c’è traccia di grillini in tivù che si straccino le vesti per dare il massimo risalto alla vicenda che riguarda la Lega, così osannata e coccolata dai media generalisti. Dopo le connivenze con la malavita di Latina con il caso Durigon, anche a Foggia siamo di fronte alla dimostrazione che la Lega ha imbarcato una classe dirigente avvezza a metodi di mafia e corruzione che una volta era appannaggio di Forza Italia. Ci sono le intercettazioni agli atti che inchiodano i protagonisti difficili da smentire al processo. Processo che darà il suo verdetto, ma che prescinde dalla condotta di questi “leghisti”, incompatibile con la vita istituzionale e che richiede una forte denuncia pubblica per stanare il partito di Salvini dedito alle chiacchiere e ai papocchi con i territori.

Lascia un commento