I media che fanno le pulci ai 5 stelle cadono spesso sul povero Rocco Casalino, sbeffeggiato come “potentissimo” capo della comunicazione del partito, descritto ridancianamente il “sacerdote a guardia dell’informazione grillina“, quello dei “diktat“, spesso spacciato per “portavoce” o peggio “portavoce del cambiamento“. In effetti, se si legge su Wikipedia la sua carica per esteso (scritta da lui), c’è da impallidire: “portavoce del presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte“. Una frase roboante per un personaggio mediaticamente nato nel luogo più sbagliato: il Grande Fratello, formidabile scorciatoia verso la notorietà al salato prezzo di diventare il simbolo del trash catodico, ma meritata per le doti di “bisessuale“, alla faccia della laurea in Ingegneria elettronica e delle famose “4 lingue” (che nessuno ha mai sentito proferire dalla bocca di Rocco), foriere di un destino sociale meno cruento.

Infatti, finita l’ubriacatura di blasfemie in video con Taricone, Rocco consegnò le sorti del suo “salto sociale” (ipse dixit) nientepopodimenoche a Lele Mora, spin doctor finito in disgrazia per le note vicende del puttanismo televisivo senza meriti. Fallito il tentativo per mancanza di addominali “tendo alla pancetta“, eccolo inventarsi conduttore televisivo e quindi “giornalista“. A Milano vedevamo Rocco seduto a mezzo busto su Telelombardia ad ascoltare le lamentele da pianerottolo dei milanesi, senza contradditorio dell’interessato per mancanza di argomenti, poi sparì. Fu scelto da Lamberto Sposini a Telenorba, in Puglia, sempre nel ruolo di giornalista non si sa di che.

Finite queste esperienze di lancio televisivo a salve, ecco riapparire in Rocco “il vuoto dentro” (ipse dixit), che lo indusse ad immolarsi tra gli insulti del web con un video stile tele-vendita in cui annunciava di candidarsi alle regionali in Lombardia nel 2012. Il pubblico ludibrio intenerì Gianroberto Casaleggio, che tempestato di chiamate da Rocco, lo relegò all’ufficio stampa grillino del Pirellone, ma per poco. Finché nel 2013 approdò al Senato alle spalle di Messora (i primi giorni tempestava di chiamate me, chiedendomi lumi di come raggiungermi alla Camera). Erano già passati i tempi degli sms di supplica inviati ai conduttori tivù “invitami ti prego… senno che fine faccio?“. Rocco era ormai arrivato nella stanza dei bottoni dei “comunicatori”, ma di quelli che tacevano.

Rocco mantenne per un lustro intero un benefico e salutare silenzio col “sistema” mediatico dentro Palazzo Madama. Poi, quando sembrava imparato al ruolo meritandosi la carica di Portavoce di Conte – sempre per conto del partito grillino – eccolo ricadere con disinvolta naturalezza nel peggior stile cafonal: tra le 4 lingue che dice di parlare, ha scelto quella più volgare. Quella immune dalla diplomazia che il ruolo richiede. Rocco ha iniziato a sbracare proprio con gli ultimi a cui doveva rivolgersi, gli odiati e insidiosi giornalisti, con frasi del tipo “quei pezzi di merda del Def“, oppure “mi è saltato il Ferragosto” (ha dovuto scusarsi), e altre chicche di talento comunicativo, segno che i primi 5 anni di rodaggio al silenzio non sono serviti a nulla.

Va detto che i grillini sono sì antisistema, e purtroppo per loro, Rocco rappresenta il lato B della loro medaglia. Un comunicatore fuori contesto, strapagato, ma solo per pietà dello staff, cosciente che fuori di lì – diciamocelo – Rocco che farebbe? Alla fine se lo tengono come parafulmine da dare in pasto ai giornali, che in effetti cadono nella trappola di andarlo ad attaccare, spacciando Rocco per importante e indispensabile ai 5 stelle. Dimenticando la nullità pratica del suo ruolo politico e anche mediatico. Indugiando sulla storia del personaggio e della sua reputazione pubblica. Certo, la storia e la reputazione sono come l’omicidio: non si prescrivono mai. Ecco allora di nuovo Rocco ripescato all’epoca dell’atteso “salto sociale”, che si diceva schifato da persone Down e anziani. Il Rocco versione caciottara, quella autentica del personaggio, antisistema caro ai 5 stelle di governo. Quello scomodo ma necessario alla causa del primo partito italiano. E i giornali ci cascano e ricascano: “Rocco Casalino…” o meglio Casalinguo.

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