matteo renzi marco travaglio

La domanda potrebbe sembrare retorica e carica di insinuazioni gratuite, eppure non nascondo una certa reale preoccupazione nei confronti del Fatto quotidiano, che leggo fin dal primo numero da costante e affidabile abbonato. Un giornale che nel panorama della disinformazione italiana si è saputo distinguere, soprattutto in tema di cronaca giudiziaria. L’epiteto “bollettino delle procure” non è così distante dalla realtà. I magistrati, sul Fatto, vengono sempre trattati coi guanti bianchi (quasi fossero loro gli editori del giornale). Il Fatto è certamente un giornale attendibile sulle cronache dei tribunali, ma un po’ meno come bollettino di palazzo. Troppo antiberlusconiano, benché ce ne sia motivo vista la stragrande maggioranza dei figuri che attorniano il detenuto di Arcore. Ma ciò che mi arrovella, a parte la Trattativa Stato-mafia che il Fatto racconta senza esclusione di colpi dalla Sicilia, è il dubbio che sia in corso una sorta di trattativa “Fatto-Renzi” o “Fatto-Pd”.

Sono diversi i segnali che mi inducono in sospetto. Segnali di ciò che trovo scritto oggi rispetto a qualche tempo fa: il più evidente, è la virata che il Fatto ha assunto nei confronti di Matteo Renzi, soprattutto da quando è diventato segretario del Pd. Quando Renzi era il sindaco rampante che andava ad Arcore in pellegrinaggio da Berlusconi, il Fatto lo sbertucciava per quello che era e per quello che è: un narciso inconsistente. Marco Travaglio, in quel periodo (16.10.2010) sottolineava in prima pagina ne “La compagnia della buona morte” che lo statuto dei Ds parla di due legislature e non tre come vorrebbe Renzi. Nel “Romanzo di un giovane vecchio” (9.12.2010) Travaglio chiedeva a Renzi “quanto impiegherà a ripulirsi la mente da quello che Gaber chiamava il Berlusconi in me”, visto che sul suo pellegrinaggio ad Arcore rispondeva con “toppe peggiori del buco“. E’ del 3 novembre 2011 il divertentissimo “Renzinvest“, in cui si notava perché mai “Gori e la Mondadori hanno scelto proprio Renzi?” per fargli da spin doctor in vista di un’ospitata dalla De Filippi vestito col chiodo. E il 5 novembre, sempre Travaglio chiedeva che ne pensa “il giovine Matteo” dei referendum finalizzati al rispetto della sentenza della Consulta del ’94 “che imponeva a Fininvest di ridurre il numero di reti in base a un principio antitrust vigente in tutte le democrazie occidentali“. Il 21 settembre 2012, il vicedirettore del Fatto rimbrottava Renzi e il suo staff che “non risponde alle domande del Fatto su chi finanzia il tour delle primarie con imbarazzanti e imbarazzati “vedremo”, “pagheremo”. Ma quando? E come? E questa sarebbe la “nuova politica”? Cominciamo bene“. Lo scorso 10 febbraio, sempre Travaglio derideva il sindaco di “Firenzi” che “accusa Ingroia e Rivoluzione Civile di “autogol” perché farebbe “vincere Berlusconi”. A ragione, tra l’altro, visto che Ingroia (votato da Travaglio per il Senato), non ha raggiunto la soglia di sbarramento alle ultime elezioni. Il 29 ottobre scorso, prima delle primarie vittoriose per il sindaco di Firenze, Travaglio ha cominciato a spostare il tiro. Anziché sbertucciare lui Renzi, evidenziava ne “M’illumino di Renzi” le lodi sperticate dei “giornaloni” nei confronti di Renzi con un condivisibile “Ne uccide più la saliva che la spada“. Il 10 dicembre scorso, con Renzi segretario del Pd, Travaglio si ripete: in “Volta&Gabbana“. Ce l’ha di nuovo coi giornaloni che non cambiano mai nei loro commenti anche quando cambiano le persone. “Ora cambia tutto” il Commento Unico e Unanime che sale da un capo all’altro dello Stivale dopo la vittoria di Renzi alle primarie del Pd. Di certo cambiano il segretario, il gruppo dirigente, il linguaggio e gli obiettivi del primo partito italiano. Ciò che non cambia è il ceto giornalistico… già comodamente assiso sul carro del nuovo vincitore“. Sarà pur vero e deprecabile che i giornaloni si ripetono a slinguare il potente di turno. Ma ciò deve proprio far pensare che sia il Fatto ad essere cambiato nei confronti di Renzi.

Il 12 dicembre scorso, il Fatto ha già dimenticato tutto di Renzi. Più nessun riferimento ai suoi pellegrinaggi ad Arcore, nemmeno per il sostegno a Napolitano (NAPOLITANO!), e nessuna traccia di tutte le contraddizioni simili, per non dire uguali a quelle che diceva Berlusconi. Talmente tante che Travaglio ci fece addirittura il libro “Le mille balle blu“. Il Fatto delle ultime settimane pare una brutta copia de L’Unità, senza più critiche. Si legge in prima pagina: “Il leader M5S accusa Renzi che replica: “Ti rispondo nei prossimi giorni con una sorpresina che ti sto preparando”. Il 15 dicembre, in apertura “Renzi offre un patto a Grillo“. Il direttore Antonio Padellaro dichiara il voto dato a Renzi per le primarie. Travaglio smette di sbertucciare Renzi, che sparisce anche dalla rubrica settimanale del lunedì “Mi faccia il piacere“.

Adesso il giornale ha invertito del tutto la rotta: “Renzi è in pressing su Letta“, Padellaro non osa più scrivere di Renzi quello che scriveva un tempo: “Nel frigo di Renzi canzoni già sentite, ma che suonano sempre bene…” (1.11.2011). Non si chiede più se “Qualcuno può pensare davvero che l’Europa, i mercati e la Casa Bianca possano affidare il grande malato italiano, con tutto il rispetto, ai Bersani o ai Renzi?” (12.2011). Niente più dubbi sul progetto “cambieremo l’Italia”, dove Renzi non riesce neppure a cambiare la sua immagine di “ragazzetto ambizioso” (di cui ora si pente) sforzandosi di guardare oltre il suo orizzonte personale.” (dicembre 2012). Anche la lenta virata di Padellaro coincide con quella di Travaglio, nel novembre scorso. Il 3, nell’assicurare ai lettori che il sindaco “può vincere tutte le primarie che vuole“, ecco il monito: “A Matteo Renzi le orecchie dovrebbero fischiare per la transumanza di facce siciliane poco raccomandabili che sul carro del vincitore vogliono pasteggiare a champagne, altro che spingere“, giacché “per 20 anni il miliardario di Arcore è stato un perfetto alibi morale per i suoi presunti oppositori“. Dimenticata la visita di Renzi ad Arcore. Sia quella del 2010, che quella imminente annunciata ieri dal Corriere. Il 17 novembre 2013, Padellaro “Nel paese che la spara più grossa“, condisce Renzi tra un Passera e un Grillo: “100 erano i tavoli della Leopolda da cui Matteo Renzi ha ricavato la formula dei 100 euro in più ai salari più bassi: come? Basta trovare 20 miliardi l’anno vendendo un po’ di beni pubblici e tagliando qualche spesa superflua: un gioco da ragazzi.” Senza critiche cattive o provocatorie, ma consigli: “si tolga il giubbotto alla Fonzie e il sorrisetto del predestinato e chieda ai deputati pd di mettere nella deprimente legge di Stabilità qualcosa davvero di sinistra...” (5 gennaio 2014).

Dal 10 dicembre scorso il Fatto si prodiga in spot da fare invidia a l’Unità, ma anche a “Europa”: Renzi “Ora comando io” Il nuovo leader del Pd nomina subito la nuova segreteria (7 donne e 5 uomini, età media 37 anni). Poi incontra Letta e ne esce un comunicato di circostanza: “Lavoreremo bene insieme”. Questa sera vede i parlamentari e forse finalmente si capirà se i gruppi seguiranno il “nuovo corso”. Renzi non è più quello descritto da Giampiero Calapà il 13 gennaio 2011, quando “voleva pensionare i vecchi del Pd ma ora molla i suoi e, dopo Arcore, corre da Vespa“. Nemmeno Paolo Flores D’Arcais leggiamo più, come il 14 febbraio 2012, quando nell’insegnarci “La politica vera“, liquidava il rottam’attore così: “le rivalità dei Bersani e dei Matteo Renzi, sono solo cascami di un universo che ha la vitalità dello zombie, ma il potere di seppellire ogni rinnovamento nelle inerzie di casta“. Scomparso anche Antonello Caporale, che il 21 aprile scorso ci ricordava che il Renzi “giovanotto arrembante, fa i conti con la sua ambizione e con le impronti digitali che ha lasciato sul corpo di Romano Prodi: “Sei un traditore“. D’ora in poi si scrive di Renzi sul Fatto solo se si vira benevolmente nei suoi confronti. Come ha già fatto il buon Fabrizio D’Esposito il 9 dicembre scorso, quando ci raccontava che “si innesta la tentazione degli elfi grillini e dei nani berlusconiani di fare un clamoroso atto di forza per costringere il Napolitanistan, indebolito dal Pd di Renzi…” nell’insinuare che “siano il duo Berlusconi&Grillo a volersi intestare “l’ultimo assalto al sistema Napolitanistan“. Nessun accenno al fatto che Renzi sostiene e difende Napolitano a ogni piè sospinto. Al Fatto sembra non interessare, dopo tutta la campagna informativa sulla questione Colle e intercettazioni con Mancino. Al contrario, D’Esposito “trombetta” il segretario del Pd in prima il 29 dicembre con “Renzi e i renziani, consapevoli dell’immobilismo lettiano, vanno giù duro appena possono, nonostante le rassicurazioni di facciata“. Renzi viene dipinto come eroe che deve spiazzare Letta.

L’annata della svolta del Fatto, il 2013, si chiude con Padellaro che scrive in prima “Quanto alla buona politica, essa non si ammanta di parole vuote, ma di gesti autentici: Matteo Renzi che si reca nella Terra dei fuochi va apprezzato purché non se ne dimentichi troppo presto“. Mentre l’anno nuovo s’è aperto con megaintervistona a Renzi senza più le domande che gli faceva Travaglio nei vecchi editoriali, il nuovo trombettiere, è Feltri (Stefano, che pare Vittorio). Niente domande trabocchetto. Solo tappeto rosso. Dopo averlo “consigliato” con un articolino accomodante il 29 ottobre (in tandem temporale Padellaro-Travaglio), in “Caro Matteo, così non va” in cui Feltri dispensa una serie di consigli a colui che è “proiettato in un domani non lontano verso Palazzo Chigi“, ecco che nell’occhiello dell’intervistona del 2 gennaio, il Fatto sentenzia: “Renzi propone al M5S un obiettivo concreto: trasformare subito il Senato in una Camera degli enti locali“. Obiettivo “CONCRETO”? Un giornale indipendente scrive così? Il giorno dopo, il Fatto, contro il M5S (che è contro i finanziamenti ai giornali) se ne esce con un inesistente “proposta che ha creato una bagarre nel M5S” seguito ormai dalla difesa d’Uffizio del sindaco di Firenze. Il 5 gennaio, Padellaro scrive che “L’ultima trovata di questo circo degli illusionisti sono le unioni civili riesumate da Matteo Renzi dal secolo scorso e che immancabilmente suscitano sdegnate proteste, in nome dei valori della famiglia“. Della serie: ha ragione Renzi, le coppie gay sono una priorità per l’Italia. Sempre la vigilia dell’Epifania, il “Fassina chi” pronunciato da Renzi, viene placato dal Fatto con un’intervista a Graziano Delrio dal titolo assolutorio nei confronti di Renzi: “Delrio: la battuta non ha aiutato ma le dimissioni erano già annunciate“.
A tutto ciò sommiamo che il Fatto non perde occasione per sparare contro l’Unità, accusata di benevolenza nei confronti dell’inciucio e di essersi inchinata alle larghe intese. Ecco, non vorrei che in tempi di crisi di vendite e di bilanci che provocano tante soffe’renzie, il Fatto cerchi qualche finanziamento in casa Pd per sostitursi al quotidiano fondato da Antonio Gramsci, prima che Renzi duri più del previsto. I segnali mi sembra non manchino. I dubbi li ho, forti. Spero di sbagliarmi.

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