Cosa succede quando un Paese arriva a un punto di non ritorno? Lo stiamo sperimentando qui in Italia, alle prese con la cruda realtà di un’economia uccisa da una povertà crescente e incontrollata, contrapposta a una quota di cittadini ancora benestante che dà fondo ai propri risparmi per mantenere il tenore di vita dei bei tempi, oltre a quella parte immortale di Paese senza spina dorsale, rappresentata in larga parte dai politici. Per capire cosa succede in un Paese giunto a un punto di non ritorno bisogna, appunto, vivere questa nostra quotidianità e leggere i giornali ogni mattina per decidere come reagire: ridere o piangere? Ci sarebbe da ridere alla vista di certe dichiarazioni di ministri e capi di governo laureati lodati e “masterizzati” negli atenei più prestigiosi. Ci sarebbe da piangere dovendone prendere atto.
Laurearsi in Bocconi, dirigere Bankitalia, approcciarsi coi guru europei dell’euro e ritrovarsi sulla soglia della pensione per ridursi a recitare la parte di burattino in un governo di un Paese fallito, non è proprio un degno epilogo per un serio professionista degno di tale nome. Eppure è quello che sta capitando, tra gli altri, all’attuale ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni. Col merito – da presidente di Bankitalia alla modica cifra di 533 mila euro l’anno – di aver autorizzato l’acquisto di Antonveneta da parte del Monte Paschi nel 2008 (è stato sentito dai pm di Siena come persona informata sui fatti e pure sui contorni dell’attività ispettiva ingolfata da Antonio Vigni), il “civil servant” è diventato ministro raccomandato da Napolitano (a sua volta raccomandato da Pd-Pdl del clan Letta), alleato di Denis Verdini, padrone e padrino del Pdl etrusco che, proprio da Saccomanni, si è visto commissariare la banca(rella) di Campi Bisenzio trasformata in una sorta di bancomat della P3 per i prestiti all’amico Fusi, e per le tangenti pagate dagli imprenditori interessati agli appalti dell’eolico.
Dunque, uno così che con Carlo Azeglio Ciampi difese strenuamente la lira nella buia estate del ’92 nell’illusione di “portare l’Italia nella serie A dell’euro“. Uno così che “sa tutto di banche” e che 3 anni fa, a proposito di crisi greca, garantiva «nessun contagio, la situazione è molto più solida di quello che può sembrare». Ecco, uno così che in macroeconomia c’ha azzeccato come una cassiera della Coop, si ritrova bersaglio di un gruppo di scimpanzé del Pdl sulla querelle Imu e Iva! Si fa dare dell’inadeguato da Gasparri!? Chissà chi glielo ha fatto fare a Saccomanni, di accettare il ruolo di ministro che fu di Tremonti negli ultimi governi Berlusconi? Governi del partito dei fan di Krugman, per il quale «ciò che il più ricco un per cento della popolazione desidera, diventa ciò che la scienza economica ci dice che dobbiamo fare». Dogma di Saccomanni alla faccia della massa di poveracci ammalati di “credit crunch” a cui stanno rimanendo soltanto le lacrime per piangere.
Di credit crunch, il saccente ministro Saccomanni, ha parlato nel chiuso di una saletta a capienza ridotta del ministero lo scorso 16 luglio, senza dare notizia dei contenuti. Le uniche “informazioni” che si presta a dare sono quelle tipiche dell’appestato da sindrome del pendolo. Costretto a restare fan dell’euro, un anno fa garantiva che «Le previsioni dell’Fmi sulla recessione in Italia sono troppo pessimiste» salvo poi essersi rivelate – ahime – addirittura ottimiste. Da quando è ministro del Tesoro, Saccomanni si è ridotto come un alfano qualunque a dire e smentire. In maggio assicurava che ci sarebbero stati i soldi per finanziare Imu e Cassa integrazione, mentre bofonchiava all’Eurogruppo di Italia con i conti in ordine. Il 12 giugno assicurava che “lavoriamo per evitare l’aumento dell’iva“, salvo smentirsi in due giorni: “Non ci sono i soldi per bloccare Iva e Imu“. Quanto al pagamento dei crediti alle imprese, è rimasta promessa morta quella di Saccomanni, quando il 3 luglio assicurava la «mappatura prima delle vacanze», e di accelerare «di qualche mese» la seconda tranche dei rimborsi. Il 7 agosto sentenziava che “la recessione è finita” col controcanto di Er nicoletta che ordinava “ora agganciare la ripresa“. L’8 settembre davanti alle minacce degli scimpanzé del parco di Arcore, Saccomanni è stato costretto a dire che “la crisi di governo sarebbe un macigno per l’economia” (quale, visto che non c’è più?). Pochi giorni fa, davanti al M5S rinunciatario dei 42 milioni di rimborsi elettorali, eccolo a promettere una «task force che faccia la differenza per tagliare la spesa pubblica».
Oggi che il governo Letta continua questa incredibile criminale farsa alle spalle del Paese allo stremo, Saccomanni è l’oggetto del sacrificio del Pd e del Pdl che lo lapidano di colpe sull’Imu e sull’Iva. Una farsa vergognosa alla quale il ministro della Bocconi risponde con la minaccia di dimissioni già respinte da Letta. Ora che andiamo incontro a una richiesta di salvataggio bancario, nessuno rivanga il Saccomanni del 15 maggio scorso quando dispensava con convinzione che «le banche italiane non hanno alcun bisogno di essere salvate». Ecco cosa succede in un Paese arrivato a un punto di non ritorno grazie a questo modo di fare politica. Succede qualcosa di indefinito che fa scattare forse una sorta di istinto di sopravvivenza alla visibilità fine a sé stessa. Data in pasto all’ignoranza di quei cittadini senza speranza e con la memoria corta. Come la vita di questo governo di buffoni. Pardon, di Bocconi.