Si stanno proprio impegnando moltissimo quelli del Pdl per accelerare l’identificazione dei mandanti delle stragi di mafia degli anni ’90. Non si spiegherebbe altrimenti il raglio polemico di alcuni berluschini in parlamento nei confronti di Beppe Lumia e Sonia Alfano. Colpevoli di aver fatto visita a Bernardo Provenzano nel carcere di Parma. Perché starnazzano tanto i vari Gasparri, Quagliarello e il piduista Cicchitto, tutti rigorosamente del Pdl? Cosa c’è di “grave” ed “extra legem” nella visita a un detenuto? Li preoccupano le battute in dialetto siciliano tra l’eurodeputata e il padrino di Cosa nostra? Volevano un traduttore? Perché tuonano così rumorosi contro la nobile missione di 2 parlamentari che sognano di sollecitare alcuni boss a collaborare con gli inquirenti? Sì, con quelli di Palermo, dove uno di loro, Antonio Ingroia, sta traslocando in Guatemala dopo l’infarto di Loris D’Ambrosio, il consigliere del presidente di ‘sti cazzi Giorgio Napolitano. Quello difeso da Piero Ostellino in nome della “ragion di Stato” che giustifica di tutto: menzogne, omissis e richieste di distruzione di colloqui telefonici con indagati per falso nei processi sulla trattativa Stato-mafia. Con buona pace per i servitori dello Stato morti sotto le bombe.

Cos’hanno da temere nel Pdl da un vecchio criminale come Bernardo Provenzano? Hanno timore per il fatto che i pm di Palermo hanno chiesto di processarlo assieme al senatore del loro partito Marcello Dell’Utri? Temono che venga fuori qualcosa sulla comunella tra i mandanti delle stragi e Forza Italia? Vogliono presentare una mozione per impedire ai parlamentari di andare a trovare in carcere i detenuti? Perché se così fosse potrebbero proporre l’abolizione dell’iniziativa “Ferragosto in carcere” tanto cara ai deputati radicali, ma non solo. In tal caso non sentiremmo più parlare di pietosi pellegrinaggi a personaggi come Lele Mora e Alfonso Papa, osannati come santi dalle visite di deputati del Pdl del calibro di Amedeo Laboccetta “commosso, ha appeso Padre Pio“, Silvano Moffa “prigioniero politico“, Luigi Vitali “ai limiti della tortura“, oltre che del carceriere dei giornalisti Maurizio Paniz nella gabbia di Papa per “gesto d’affetto“. Non avremmo più processioni nei penitenziari con “water a vista” delle varie Rita Bernardini dai Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb (al fresco per riciclaggio e frodi per 2 miliardi), ma anche da disonorevoli come Nicola Di Girolamo, condannato per aver falsificato 25 mila schede all’estero in favore del partito di Gasparri e Quagliarello “in case schifose del quartiere turco tra italiani disperati, cani che abbaiavano e ragazzine che cacavano” con gentile collaborazione del clan degli Arena.

Non avremmo più nessun Franco Barbato in cella da un intimo dei killer della banda della Magliana come Gennaro Mokbel, che gli riferisce «Quello che subentra a Di Girolamo (Fantetti) è peggio». Mai più deputate del Pdl come Melania Rizzoli che invoca la scarcerazione per ragioni di salute di Giorgia Ricci in Mokbel. Dimenticheremmo il pitreista Flavio Carboni amico dell’onorevole padrino di Forza Italia in Toscana Denis Verdini, grazie alle missioni della solita radicale Bernardini, ma anche di D’Antona, Bachelet, Castagnetti, Della Vedova, La Loggia. E pure grazie a Marcello Dell’Utri, che si è presentato al carcere di Como l’anno scorso, forse per questioni di prove di adattamento al luogo. Se per Gasparri e Quagliarello sono extra legem le visite in carcere di Lumia e Alfano, cosa ci faceva proprio Quagliarello nella tre per due di don Totò Cuffaro a Rebibbia? Sì, l’ex governatore della Sicilia che festeggiava le condanne per favoreggiamento alla mafia coi cannoli e, ciò nonostante, dicono sia dimagrito. Quagliarello è elencato con la sessantina di deputati e senatori in corteo tra cui “Calogero Mannino, Stefania Craxi, Marco Follini...”.

Non ricordiamo barriti di Gasparri e Quagliarello quando il radicale Maurizio Turco si recò nella cella di Calisto Tanzi, già visitato dall’ex presidente Kossiga nel 2004 all’epoca del primo crac Parmalat. Persino la visita a Poggioreale del dipietrista Barbato al pitreista Arcangelo Martino, passò indenne dai ragli dei berluschini del Pdl. Eppure Pasquale Lombardi disse a Barbato: «Io criminale e quello smidollato sta ancora lì». Barbato chiede: «Chi, Berlusconi?». Martino: «». Il direttore del carcere Cosimo Giordano intima: «Martino! Non può parlare dei procedimenti». E Martino: «Sto parlando della porcheria che è diventata la politica in questo paese». Barbato dichiara fuori dal carcere: «Martino mi ha detto che vuole parlare, dire tutta la verità”. E se Martino parla della P3, povero Berlusconi, altro che casa di Montecarlo».

Dobbiamo ammettere che Arcangelo Martino non è Bernardo Provenzano. E nemmeno il calciatore Paoloni, quello che drogava di sonniferi i calciatori per truccare le partite, visitato in cella dal consigliere lombardo Agostino Alloni. Ma a ben vedere, non risultano indignazioni di Gasparri e Quagliarello quando fu un altro deputato a dichiarare ai giornali «Ho visto Riina e Graviano al carcere di Opera, con 2 radicali. Riina l’ho incontrato per ultimo…». Il giornalista chiede al deputato “I boss le hanno consegnato «un messaggio»? Il deputato risponde: «Riina ha detto di essere ‘ben tenuto e ben custoditò. Niente invece, che io ricordi, ha risposto Graviano. Molti detenuti di minor calibro hanno sbraitato contro Berlusconi, Alfano (definito ‘uomo di merdà) e me, in quanto deputato del Pdl, addebitandoci l’indurimento del regime di detenzione. Se ciò costituisca un messaggio, fatemelo sapere». In quell’occasione il deputato in questione, dopo ben 82 visite ad altrettanti detenuti “in legem”  fa dichiarazioni contro il 41 bis. Il giornalista chiede «Ha presentato un ddl per abolirlo?» «No» risponde l’onorevole.

Non si tratta di Sonia Alfano. Si tratta di Renato Farina, alias Agente Betulla.  Quello che si infila nella cella di Lele Mora dichiarando il falso sull’accompagnatore (che non risulta extra legem per i Gasparri e i Quagliarello), che bolla “inumano il 41 bis” abolito per decreto a centinaia di boss mafiosi dal ministro Conso ai tempi delle stragi e della trattativa Stato-Mafia. Ai tempi in cui Nicola Mancino era ministro dell’Interno, e presidente della Camera era un tal Giorgio Napolitano. Che il Corriere minimizza allo “scontro digitale” con Di Pietro. Unico uomo del parlamento che chiede chiarezza e trasparenza al Capo dello Stato sui contenuti dei suoi colloqui telefonici con Mancino. Colloqui che Napolitano vorrebbe distruggere. Anche con un improbabile infarto. Eccolo l’impegno condiviso di Napolitano col Pdl. Nascondere e occultare con le balle starnazzate ai giornali per scoprire prima i responsabili della trattativa Stato-Mafia. Magari prima che Ingroia se ne sia andato. Comunque, dopo 20 anni. Un umile appello a Provenzano, Lumia e Sonia Alfano: attenzione ai caffè e fate frequenti visite dal cardiologo.

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