Non vorrei mai trovarmi nei panni di un tifoso atalantino che spende i propri risparmi per seguire le trasferte della squadra del cuore, che scommette sui risultati, che sacrifica affetti e tempo per sé da dedicare ai suoi beniamini del campo, e che soprattutto affronta il rischio di perire nel bel mezzo di una rissa tra ultras. Non avrei mai voluto che i miei soldi di contribuente fossero finiti nei bilanci in passivo dei club dissanguati dagli esosi ingaggi regalati ai bomber col cervello di caprone, che mi saranno sfrecciati davanti con la Ferrari senza dare precedenza sulle striscie pedonali.
Sono contento di non avere mai amato il calcio. Di averlo, anzi, sempre detestato in quanto strumento di distrazione di massa televisivo che accompagna intere generazioni di teleutenti da ormai 3 generazioni. Non l’ho mai ritenuto, il calcio, uno sport. Dello sport io ho un’altra concezione che rende il calcio un gioco che l’allenamento può solo migliorare marginalmente, nel quale può eccellere solo il fantasista nato, capace di dominare la palla al di là  della forma fisica (Maradona é l’esempio principe). Il calcio rimane un gioco popolare che affascina una larga fetta di esseri umani che, purtroppo, io non mi so spiegare ma che certamente é valvola di sfogo di tante frustrazioni rimaste inevase. Come quelle di tanti genitori di “pulcini” trasformati in mostri a metà  strada tra cannibali e talebani nei confronti dell’arbitro che osa fischiare il fallo in campo.

Sono fiero di aver rifiutato in più di un’occasione la conduzione televisiva di quei noiosissimi dibattiti sulle partite di calcio. Sono fortunato per non aver mai sentito il bisogno di assistere ai grandi match internazionali e alle mobilitazioni di massa per le grandi finali di calcio. Nemmeno quando l’Italia vinse i mondiali di calcio nel 1982 e nemmeno in occasione dei mondiali di Italia ’90, quando feci in tempo a congedarmi a pochi giorni dalle partite per le quali gli “autieri” dovevano rendersi disponibili a scarrozzare sulle auto militari in giro per stadi, colonnelli, generali e sottosegretari. Ricordo, a tal proposito, l’eccitazione di molti commilitoni candidati al ruolo.

Ebbene, oggi, di fronte all’ennesima inchiesta sul calcio che sdogana portieri che sciolgono nei bicchieri dei compagni veleni per inibirli nelle prestazioni in campo, che mettono a repentaglio la loro salute e l’incolumità  di chi circola per strada, davvero non riesco a capire cosa ci sia ancora da seguire, da scommettere e da sperare su questo gioco, da troppo tempo divenuto arena-sfogatoio dei peggiori istinti umani.
E’ l’Atalanta del suo eroe Cristiano Doni issato al patibolo del pubblico ludibrio di fronte alle partite truccate, ai gol pianificati, alle scommesse pilotate alla faccia di quei tanti tifosi truffati per aver scommesso legalmente, che mi chiedo quale credibilità  possa avere tutto l’ambiente putribondo di questo gioco. Condizionato dal limite degli arbitri e dall’esasperazione dei fuorigioco per pilotare i match, senza contare le Calciopoli, i Moggi e chi più ne ha più ne metta.
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E’ da qualche giorno che sto provando ad immaginare il campionario di reazioni possibili da parte di un ultrà  atalantino. Di quelli che ci mettono la faccia e il ventrone peloso che traballa di ciccia fuori dalla camicia tutte le domeniche sotto l’urto del rigore o dell’ammonizione. Chissà  se l’odio nutrito verso quei “celerini assassini” avrà  virato verso quei falsi beniamini come Doni osannato a “campione infinito“, già  testimone nel processo per associazione a delinquere in corso nella cattoleghista Bergamo in cui é indagato pure l’assessore lombardo al territorio Daniele Belotti assieme al sindaco di Gandosso. Entrambi leghisti, entrambi sospettati di aver messo in guardia il Bocia”, alias l’esiliato Claudio Galimberti, dall’assedio dei celerini mentre col suo gruppo metteva a ferro e fuoco la città . Il Bocia ha fatto scena muta davanti al gip, assieme al “Paso” e al “Rasta”, nomignoli che lasciano poco spazio alla fantasia che si dovrebbe ad autorevoli testimoni del nostro tempo. Leghista é pure il ministro Maroni, quello della tessera del tifoso e del Daspo, già  accolto a suon di fumogeni e bombe carta dai 400 ultras atalantini alla Berghem fest di Alzano lombardo l’estate scorsa, e che é valso il siluro all’ex questore di Bergamo Turillo. Come leghista é quel Calderoli “tifoso atalantino” che giusto per mantenersi una fetta di voti di quel popolo tutto curve che “dichiara guerra allo Stato“, invocava il taglio ai compensi dei giocatori.

Atalantini sono gli interessi di tante piccole parrocchie orobiche, a cominciare dall’Eco di Bergamo, sul quale il 2 giugno in prima pagina si leggeva “Calcioscommesse, Doni indagato” e nell’editoriale senza firma c’era un augurio affinché “Doni chiarisca tutto e che ne esca indenne assieme all’Atalanta. Siamo ancora nel mezzo di un sogno, non vorremmo ritrovarci in un incubo. Diteci che non é vero!“. Altroché se é tutto vero! L’Atalanta tornerà  in serie B per la gioia dei suoi ultras perennemente condannati a grattarsi i lividi e dei suoi leghisti. Oggi, mentre “l’Atalanta trema” su tutte le prime pagine, sull’Eco ha solo una posizione “più critica con nessuno che spiega” mentre il resto del mondo già  da ieri sa delle dichiarazioni rese ai magistrati di Cremona da tipi che di cognome fanno manco farlo apposta Parlato e Buffone. Tutt’attorno il quotidiano atalantino si perde in fumosi articoli sulle banche e su 13 sacerdoti. Mentre pubblico, il Lucrezio Borgia del calcio marcio, alias il portiere del Benevento Paoloni “crolla, dice tutto“. Soltanto Maroni, Calderoli e Belotti sono rimasti muti.

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