repubblica fikri yara è stata uccisa
Repubblica del 6 dicembre 2010 annuncia l’arresto di Mohamed Fikri

La cattura di Massimo Bossetti per il delitto di Yara Gambirasio ha prodotto urla liberatorie di soddisfazione come in una finale mondiale di calcio. Dopo tanto silente lavoro, Carabinieri Polizia e financo i procuratori si sono autocelebrati a colpi di conferenze stampa, dichiarazioni e persino di tweet in un bel baccanale tra divise e toghe, a cui non poteva mancare il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che con comprensibile soddisfazione tweettava per primo: «Individuato l’assassino di Yara Gambirasio». Infatti da quel momento abbiamo saputo di tutto e di più di Bossetti, persino i nomi dei suoi tre figli minorenni grazie all’eroico “dovere di cronaca” di iene a bruciapelo come Piero Colaprico di Repubblica. Uno dei tanti segugi da salotto in perenne corteggiamento di passacarte in procura. Fermo che non ci sono certezze che non sia stato persino lo stesso procuratore bergamasco Francesco Dettori a prestarsi al ruolo invece di qualche suo sottoposto in cancelleria, non si capisce con quale spregio al senso del ridicolo un procuratore generale esposto per un caso così sentito dall’opinione pubblica come quello di Yara, possa rinfacciare ad Alfano che “la riservatezza avrebbe tutelato anche chi, per ora, è solo un indagato”. Ergo: era meglio se avessi taciuto così non si sarebbe saputo niente dell’arresto di Bossetti. Anche fosse stato un monito di qualche dittatore maghrebino, al povero Alfano non restava che replicare giustamente a Dettori “Siete voi che avete rivelato tutti i particolari, non il governo”. Del resto è dalla notte dei tempi che una notizia quando è tale si dà.

Un po’ come accadde dieci giorni dopo la scomparsa di Yara, quando un tal Mohammed Fikri fu prelevato in mezzo al mare da un traghetto diretto in Marocco, arrestato e rinchiuso nel carcere di Bergamo. Finì in prima pagina (postata sopra) con l’accusa di aver ucciso Yara, indagato come Bossetti ma con la differenza che a carico di Fikri non c’erano prove, a parte un’intercettazione travisata per cattiva traduzione e un DNA incompatibile con quello rinvenuto sui resti di Yara. Tanto che Fikri fu scarcerato nell’arco di 24 ore nonostante sia rimasto indagato per ben 980 giorni, lungo i quali perse il lavoro e gli affetti. Nessun procuratore dell’epoca tuonò contro il diritto alla riservatezza di Fikri. Nemmeno Dettori. Un po’ perché di procuratori a Bergamo non ce n’erano, visto che Adriano Galizzi andò in pensione appena tre giorni dopo la scomparsa di Yara. Un po’ perché l’allora ministro dell’Interno era il leghista Maroni che i tweet credeva fossero dei leccalecca. Un po’ perché alla fine Mohamed Fikri era un “manovale marocchino” da dare in pasto alla Lega Nord e ai cartelli razzisti esibiti immediatamente a Brembate di Sopra. Da lì in poi, il diritto alla riservatezza per Fikri fu garantito dagli sciami di flash e telecamere che per mesi lo tampinarono come stalker in cerca del mostro. Fikri intanto si ricomprò il biglietto per la vacanza in Marocco incoraggiato dai cugini e dal datore di lavoro italiano, mentre il legaiolo Matteo Salvini vomitava in tivù teorie del tipo «Queste cose succedevano anche prima che arrivassero gli immigrati, ma da quando ci sono così tanti irregolari succedono di più. Lo dicono i numeri». Se per l’ex Guardasigilli Roberto Castelli «in democrazia un cittadino deve avere il diritto di dire le sciocchezze più grandi che crede», fu normale che individui marchati di sole delle Alpi come il pregiudicato per lesioni aggravate Efrem Belussi, si facessero notare al grido «Basta marocchini a Bergamo. Ci stuprano, tiriamo fuori i denti!» davanti a casa Gambirasio. Uno così era infatti responsabile dei Volontari Verdi di Mario Borghezio nonché presidente di Sport Padania. Amava le iconograrie celtiche basic e le istantanee con Umberto Bossi. Mentre oggi si parla di Bossetti. Ditelo a Dettori. E pure a Grillo che ci è cascato col povero Alfano.

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